C’è una differenza sottile ma decisiva tra un serviced office e un coworking. Due concetti che spesso vengono confusi, ma che in realtà incarnano due modi opposti di intendere il lavoro. Il primo è figlio della necessità: uno spazio temporaneo, pronto all’uso, per aziende e professionisti che hanno bisogno di flessibilità senza pensieri. Il secondo nasce da un’intuizione diversa: il lavoro come relazione, contaminazione, comunità. Ed è proprio questa seconda dimensione a trasformare il coworking in qualcosa di più di una semplice scrivania condivisa.
Il serviced office resta la soluzione perfetta per chi cerca un ufficio chiavi in mano. Contratti brevi, postazioni arredate, connessione internet garantita, reception, pulizie. L’obiettivo è ridurre la burocrazia, eliminare la complessità, offrire spazi funzionali nel cuore delle città. In Italia, diversi operator hanno costruito una presenza solida nei quartieri centrali di Milano, Roma e Torino, intercettando professionisti che vogliono soprattutto efficienza. Ma l’esperienza che questi spazi offrono è soprattutto logistica: utile, ordinata, poco più.
Il coworking, invece, aggiunge un ingrediente che cambia tutto: la comunità. Non è solo una scrivania, ma un luogo in cui incontrare altre persone, scambiare idee, costruire collaborazioni inattese. È il caffè preso con chi lavora a un progetto simile al tuo, è il talk serale con un imprenditore che racconta la sua esperienza, è l’aperitivo che diventa occasione di networking. E soprattutto è un ambiente che non si rivolge soltanto alle grandi aziende, ma ai freelance, ai team distribuiti, a chi lavora in remoto e vuole smettere di sentirsi isolato a casa.
Questa differenza di approccio ha portato negli anni alla nascita di modelli ibridi. Sempre più spazi offrono sia la professionalità dei serviced office — uffici privati, sale riunioni impeccabili, servizi premium — sia l’anima del coworking, fatta di eventi e relazioni. Un caso emblematico è quello di Molo 12 a Lecce, che unisce spazi moderni e comunità attiva in una città di provincia, dimostrando che l’innovazione non è monopolio delle metropoli.
E poi ci sono i piccoli comuni, la vera novità degli ultimi anni. Con il diffondersi del lavoro remoto, la geografia del lavoro si è allargata: non serve più essere in un distretto finanziario per essere produttivi. Così spazi di coworking sono nati in luoghi che fino a ieri nessuno avrebbe immaginato. In Umbria, ad esempio, Dolce Vita Coliving & Coworking ha trovato casa a Vallo di Nera, un comune di poche centinaia di abitanti. Qui i professionisti possono lavorare connessi in fibra e, al tempo stesso, immergersi in un paesaggio che offre silenzio, natura e qualità della vita. In Basilicata, Casa Netural a Matera ha combinato coworking e coliving per creare un hub di sperimentazione sociale, attirando persone dall’Italia e dall’estero e generando impatto reale nel quartiere.
Il fenomeno si sta diffondendo anche nel Sud, dove diverse iniziative dimostrano che anche in piccoli centri storici si possono costruire spazi moderni e funzionali. Non è solo questione di scrivanie: questi luoghi riportano vita nei centri, generano flussi economici nei bar e nei negozi, creano un presidio sociale che va oltre l’orario d’ufficio.
E proprio in Sicilia avremo un esempio concreto, dal vivo. La nostra serie Remote Workers for Remote Villages farà tappa il 6 ottobre in due coworking unici. La mattina saremo a Catania, ospiti di Isola Catania, uno spazio dal design curato e dall’energia vibrante, che è diventato punto di riferimento per startup, freelance e community digitali nel cuore della città. Nel pomeriggio ci sposteremo a Licodia Eubea, dove incontreremo Lycoworking: uno spazio nato dentro una parrocchia, che va ben oltre la dimensione lavorativa per diventare centro di comunità, accoglienza e inclusione per residenti e nuovi arrivati. Due esempi diversi, urbano e rurale, che mostrano come il coworking possa assumere forme sorprendenti, capaci di ridefinire le relazioni tra lavoro e territorio.
La differenza con i serviced office è evidente. Là dove un serviced office fornisce un servizio standard, il coworking nei piccoli comuni crea relazioni, attrazione, rigenerazione. Porta persone nuove in territori che rischiavano lo spopolamento, valorizza edifici storici, attiva dinamiche di partecipazione. È un pezzo di rigenerazione urbana e sociale, oltre che una risposta a un bisogno pratico.
Eppure, non è un modello semplice. Servono gestori con competenze imprenditoriali ma anche sensibilità culturale. Serve promozione, perché gli spazi siano conosciuti e frequentati. E servono investimenti, perché riqualificare un edificio o dotarlo di fibra non è un’impresa da poco. Ma i risultati, quando ci sono, parlano da soli: più residenti stabili, più visibilità per i territori, più vitalità nelle comunità.
È questo che rende il coworking un tema così interessante anche per Smart Working Magazine. Non ci interessa soltanto raccontare scrivanie e connessioni, ma capire dove nascono spazi che hanno un’anima, un impatto, una storia da raccontare.
Note: Nell'immagine una delle sale di Isola Catania