In questi giorni ricorre l'anniversario (se così lo possiamo chiamare) dal primo lockdown e cinque anni dopo il Covid, un po' tutti ne stanno scrivendo, il mondo del lavoro non è tornato davvero come prima. Anche se molti datori di lavoro hanno richiamato i dipendenti in ufficio, le trasformazioni avviate durante la pandemia sono rimaste. Alcune visibili, altre più sottili. Ma tutte raccontano una nuova idea di lavoro, più fluida, più digitale e – almeno in teoria – più umana.
Riunioni e comunicazione
Nel 2019, l’idea di fare riunioni regolarmente da remoto sembrava impensabile. Oggi è normalità. Anche quando siamo fisicamente nello stesso ufficio, i meeting si svolgono spesso online, con link integrati negli inviti per poter registrare o trascrivere. Una rivoluzione silenziosa. Ma gli spazi fisici non si sono adattati: trovare una stanza libera è spesso un’impresa.
I nuovi rituali
Durante il distanziamento sociale ci siamo salutati con il gomito, ma la stretta di mano è tornata. Il vero gesto simbolico del post-pandemia è la “Zoom wave”, quel saluto con la mano a fine call. Più infantile, forse, ma più universale. Peccato che non abbia soppiantato davvero i baci aziendali – quelli sì, fonte di imbarazzi eterni.
Lavoro ibrido e flessibilità
Il lavoro da casa non è più un’eccezione. È un’abitudine consolidata. La maggior parte delle grandi aziende offre oggi formule ibride: tre giorni in ufficio, due da casa. I benefici sono noti: meno pendolarismo, più tempo con la famiglia, meno costi per le aziende. Ma i rischi non mancano: la cultura dell’"always on" porta a confondere vita privata e lavoro. E il sogno del “nomadismo digitale” totale pare essere rimasto un’illusione, salvo che in settori come tech o customer service.
Malattia e rispetto
Un tempo si andava in ufficio anche con l’influenza, magari ostentando uno starnuto davanti al capo. Ora no. Chi tossisce in ascensore viene guardato con sospetto. Ma con la fine delle riunioni totalmente virtuali, chi è più timido o introverso ha perso quella parità di voce garantita da una mano emoji alzata su Zoom.
Secondi lavori e autonomia
Lo smart working ha aperto la strada a side hustle, freelance, piccoli progetti paralleli. In parte per necessità economica, in parte per voglia di libertà. Alcune aziende pongono limiti, ma il trend è chiaro: sempre più persone vogliono decidere tempi e modalità del proprio lavoro. Il vero spreco? Aver abbandonato la cultura asincrona, che permetteva di lavorare senza dover essere sempre online o presenti.
Moda da ufficio
La pandemia ha accelerato la "grande casualizzazione" degli abiti da lavoro. Cravatte e tailleur sono ormai riservati a poche nicchie. La comodità ha vinto. Ma per alcuni, questo è stato un passo troppo lungo: un po’ di eleganza potrebbe aiutare a prendere sul serio sé stessi e il proprio lavoro.
Fiducia e benessere
Lavorare da casa ha obbligato i manager a fidarsi di più. Il focus si è spostato dai minuti trascorsi alla scrivania ai risultati ottenuti. Questo ha reso l’ambiente più umano. Ma non tutti hanno mantenuto questo approccio. Alcuni sono tornati a monitoraggi ossessivi, con software che controllano messaggi, attività e persino l’umore sui canali interni.
Salute mentale
La pandemia ha acceso i riflettori sul benessere psicologico. Le aziende hanno lanciato app, sportelli, momenti dedicati. E qualcosa è rimasto. Ma non abbastanza. Il 44% dei lavoratori, secondo una recente indagine globale, non vede miglioramenti nello stigma che circonda i problemi di salute mentale. E il 15% pensa che la situazione sia persino peggiorata.
La voce dei lavoratori
Il 2020 sembrava l’inizio di una nuova era: più inclusione, più ascolto, più diritti. Oggi molte aziende hanno ridotto i loro impegni pubblici su DEI (Diversità, Equità, Inclusione). Ma la consapevolezza che tutto può diventare pubblico – dalle chat interne alle politiche aziendali – è ormai parte del gioco. Il futuro appartiene a chi saprà ascoltare davvero.
Il Covid ha stravolto abitudini, rituali e aspettative. Ci ha costretti a chiederci non solo dove lavorare, ma anche come e perché. Alcuni cambiamenti sono durati, altri sono svaniti. Ma la porta del cambiamento resta socchiusa. Sta a noi decidere se aprirla del tutto o tornare al passato. Un'unica certezza che ho è che certi eccessi o 'vizi' cui ci eravamo forse abituati non erano oggettivamente sostenibili, soprattutto per organizzazioni complesse e non tutto del 'vecchio mondo' era da buttare. Ma non bisogna nemmeno avere paura che un cambiamento sia un'opportunità e questo lo abbiamo imparato con la forza, sarebbe un peccato disperdere questa lezione.