Fin dalla fine del lock down, in molti hanno cercato soluzioni valide al problema della solitudine del lavoratore da remoto. Molto spesso l’abolizione dello smart working sembrava l’unica via d’uscita. Ma sarebbe opportuno capire come mai il fenomeno è così diffuso e perché in pochi si sono dedicati a cercare di arginarlo in maniera costruttiva e inclusiva prima di saltare a conclusioni affrettate. Anche perché ormai, specialmente tra i più giovani, lo smart working è una priorità, in quanto la valorizzazione del proprio tempo libero e l’indipendenza dai luoghi fisici non sono più un desiderio ma un vero e proprio modo di essere.
Un recente studio parla di un 80% dei professionisti che soffrono la solitudine sul lavoro. Questo dato è fornito dalla ricerca “Solitudine Professionale” condotta da Alessia Canfarini per conto di Excellence Human Capital. Contrariamente a quanto si possa pensare, non riguarda solo lo smart working.
Isolamento tecnologico: chi soffre di più?
Stando all’indagine, coloro che soffrono maggiormente un senso di solitudine sono i giovani nella fascia di età compresa tra 25 ai 41 anni. Questa generazione viene chiamata YOLO dagli esperti di settore, acronimo di You Only Live Once, che tradotto sarebbe “si vive una volta sola”. La generazione YOLO non ha nessuna intenzione di piegarsi a vecchie logiche aziendali secondo cui è obbligatorio recarsi in un luogo specifico 5 giorni a settimana e starci per 8 ore al giorno, più minuti e ore di straordinari non retribuiti. C’è un però.
Lo smart working, o meglio il remote working, secondo l’indagine, è la prima causa d’isolamento con il 40% degli intervistati che lo indicano come tale. Ma ci sono altre cause da esplorare e analizzare. Guardando un po’ più in profondità, si può affermare senza troppi dubbi che l’azienda e l’ambiente da essa creata giochi un ruolo determinante. Per questo, la cultura aziendale è il terzo elemento per impatto sul senso di integrazione, subito dietro il rapporto con i colleghi. Quindi, tornare in ufficio non è una soluzione.
Le conseguenze e la possibile soluzione.
In tutto questo non è solo la persona che soffre, ma anche l’azienda in quanto la solitudine sul lavoro ha delle ripercussioni negative su tutto il team. Infatti, dal report, è possibile capire che il non sentirsi integrati in un contesto sano e collaborativo diminuisca la produttività del singolo e dell’intero team a cascata. Inoltre, risulta difficile per l’azienda mantenere un ambiente coeso e vivibile con pesanti conseguenze sulla reputazione della stessa e con derivate difficoltà nel trattenere i talenti.
Quindi la soluzione potrebbe essere nel ridurre lo smart working come hanno già fatto compagnie internazionali del calibro di Zoom!? Non esattamente, in quanto il problema verrebbe solamente un po’ alleviato ma con ripercussioni su altri aspetti. C’è sempre da ricordare che la generazione YOLO non ha intenzione di rinunciare alla gestione del proprio tempo.
Quindi l’ufficio deve rimanere un luogo fisico sì, ma di collaborazione, non necessariamente dentro le mura dell’azienda piuttosto in ogni luogo che il professionista scelga. Alcuni specialisti dell’HR ritengono che la soluzione debba essere una completa e definitiva trasformazione del lavoro in modo da soddisfare sia le esigenze del lavoratore che dell’azienda. Soprattutto, l’azienda deve fornire un supporto psicologico importante alle risorse per evitare un deterioramento irreversibile delle prestazioni e dello stato di salute di chi lavora.