Il termine “burnout”, spesso tradotto con espressioni come “esaurimento nervoso”, è diventato di uso comune, specialmente nel post-pandemia. Descrive una sindrome che si manifesta con stanchezza cronica, irritabilità, perdita di interesse nel lavoro, errori professionali e, nei casi più gravi, una vera e propria incapacita di continuare a lavorare. Ma quanto è diffuso questo fenomeno, soprattutto nel mondo sanitario? Le statistiche parlano chiaro: il 52% dei medici e il 45% degli infermieri italiani affermano di soffrire di burnout, stando ai dati del recente rapporto dell'Osservatorio Salute di Fondazione Enpam e Eurispes. Eppure, alcuni esperti invitano alla cautela: è davvero tutto così drammatico o si rischia di generalizzare un problema complesso?
Le radici del fenomeno
È indubbio che la professione sanitaria sia particolarmente esposta a stress emotivo e fisico. I medici e gli infermieri lavorano quotidianamente a stretto contatto con la sofferenza, la malattia e, spesso, la morte. Questo carico emotivo, unito a turni massacranti e alla carenza di personale, costituisce un terreno fertile per lo sviluppo del burnout. A complicare la situazione, la pandemia ha accelerato un processo già in atto: il crescente divario tra le aspettative professionali e la realtà. Come sottolinea Renzo Rozzini, psichiatra e geriatra dell’ospedale Poliambulanza di Brescia, “dopo il Covid è venuto meno il riconoscimento sociale del ruolo del medico”, aggravando il senso di insoddisfazione e frustrazione.
La mancanza di riconoscenza sociale, unita a una vita professionale che spesso compromette l’equilibrio personale e familiare, ha portato molti sanitari a sentirsi intrappolati in un circolo vizioso di stress e alienazione. Tuttavia, come avverte Paolo Groff, primario del Pronto Soccorso di Perugia, “è importante usare il termine burnout con cautela. Si tratta di una vera e propria patologia psichiatrica, e non un semplice malessere temporaneo legato alla stanchezza”. Secondo Groff, è necessario distinguere tra chi effettivamente soffre di questa condizione e chi utilizza il termine in modo improprio.
Giovani sanitari e fragilità generazionale
Un dato interessante riguarda la distribuzione generazionale del fenomeno: ben l’86% di coloro che dichiarano di soffrire di burnout appartiene alla fascia d’età tra i 25 e i 44 anni, secondo i dati raccolti dal portale di supporto psicologico Unobravo. In Germania, questa tendenza è confermata: il Financial Times riporta che i lavoratori più giovani, nel 2023, hanno accumulato in media 20 giorni di assenze per motivi di stress. La questione, quindi, potrebbe anche essere legata a una diversa capacità di affrontare le difficoltà lavorative rispetto alle generazioni precedenti.
Massimo Geraci, primario del Pronto Soccorso dell’Ospedale Civico di Palermo, evidenzia un aspetto cruciale: “Dopo anni di studi e specializzazioni, i giovani medici si affacciano al mondo del lavoro con un’insicurezza che non li aiuta. Invece di affrontare con determinazione i primi turni, spesso chiedono di essere introdotti gradualmente”. Questa mancanza di preparazione pratica, unita a una crescente difficoltà nel tollerare le pressioni lavorative, contribuisce al senso di inadeguatezza e allo sviluppo del burnout.
Burnout o mancanza di resilienza?
Secondo alcuni esperti, il problema potrebbe risiedere anche nella diminuzione della resilienza. Fabio Genco, direttore della Centrale Operativa 118 della Sicilia occidentale, sottolinea l’importanza di mantenere una forte capacità di concentrazione e gestione dello stress. “Quando si sceglie una professione come quella medica, specialmente nell’emergenza, bisogna accettare la tensione come parte integrante del lavoro. Non c’è spazio per la distrazione o per lamentele eccessive”, afferma Genco.
Questa prospettiva, tuttavia, non vuole sminuire la necessità di supporto psicologico per chi ne ha bisogno. Seminari, corsi di formazione e iniziative di benessere psicologico sono strumenti preziosi per aiutare i sanitari a gestire le difficoltà. Ma, come ricorda Genco, “la scelta di intraprendere una carriera in medicina comporta sacrifici inevitabili”.
Una questione di equilibrio
In conclusione, il burnout è certamente un problema reale, ma rischia di essere sovrastimato o, peggio, utilizzato come alibi per mascherare difficoltà personali o professionali. Il sistema sanitario, dal canto suo, deve fare la sua parte: fornire supporto adeguato ai giovani medici, migliorare le condizioni di lavoro e promuovere un maggiore equilibrio tra vita privata e professionale. Tuttavia, resta fondamentale ricordare che la resilienza e la capacità di affrontare le sfide sono qualità imprescindibili per chi sceglie questa strada.
In un momento storico in cui il sistema sanitario è già messo a dura prova da carenze di personale e risorse, è essenziale che i medici e gli infermieri siano presenti a sé stessi e concentrati sul benessere dei pazienti. Come direbbe Ippocrate, la medicina è una vocazione, e con essa arrivano doveri e responsabilità che richiedono una forza interiore non indifferente.