Se da sempre l’uso dello smartphone sul luogo di lavoro può essere un tabù, la Commissione Europea e la pubblica amministrazione americana sono andati oltre, negando ai propri lavoratori la possibilità di usare un’applicazione specifica: vittima del caso è TikTok.
L’applicazione nasce in Cina nel 2016 e cavalca l’onda social per anni indisturbata. Peccato che, più di recente, siano emerse problematiche riguardanti soprattutto la privacy.
Nel momento in cui TikTok si trovi tra le mani di un adolescente probabilmente nessuno prende provvedimenti in favore della privacy e del corretto trattamento dei dati. Quando però, tramite ogni gradino della scala gerarchica dei lavoratori, allora le cose cambiano.
Un caso dopo l’altro, nel corso degli ultimi anni, sono emerse una serie di vicende e conseguenti inchieste riguardo l’etica dell’applicazione a proposito di dati e privacy. Scavando si può presumere non sia venuto fuori nulla di positivo: l’applicazione vede tali inchieste diventare sempre più spesso veri e propri processi.
La questione assume dunque i tratti di un pendolo: oscilla tra la libertà del singolo e la sicurezza del collettivo, in questo caso di diversi stati e governi. Primo tra questi gli USA che hanno “inaugurato” il divieto di utilizzo dell’applicazione, vietando il download su dispositivi di ogni forma e natura che appartengano al governo statale o federale.
Ha seguito appunto, più di recente, l’Unione Europea con la stessa scelta. Si aprono dunque nuovamente discussioni a proposito dell’etica di questa scelta: in parte la libertà dell’individuo viene limitata, d’altro canto vengono protette informazioni di notevole importanza.
I dipendenti non sono però del tutto privi di volontà (o colpe): quest’onda di cambiamenti è stato anche il risultato del recente trend secondo il quale le persone si riprendevano al lavoro. Questi video, come ormai la maggior parte dei contenuti che la società crea, venivano condivisi sui social, dunque anche su TikTok.
Il caso va osservato dunque sotto diverse luci: la privacy di entrambi gli enti coinvolti e al contempo le azioni di ambedue.
La dipendenza social è solo una variabile rilevante all’intento di questi accadimenti.Più in generale, ricordiamo che Edward Snowden ha definito lo smartphone "a spy in your pocket" per mettere in guardia sui rischi di tracciamento e hackeraggio dei nostri dati. L’abitudine di utilizzare lo smartphone sempre più di frequente lo ha condotto ad essere accettato in ogni contesto e luogo, dal privato al lavorativo: lo smartphone viene tenuto sul tavolo anche in occasioni di riunioni importanti e questo dovrebbe far sorgere un interrogativo al di là di storici casi di spionaggio industriale.
Come ogni osservazione che si rispetti, quella riguardante il caso TikTok deve dunque tener conto di diverse variabili: l’individuo e lo Stato ma anche i lavoratori, i loro diritti e i loro doveri.
D’altra parte il problema nasce alla radice: quella di un’applicazione poco sicura e invadente nei confronti di qualsiasi soggetto, privato o pubblico che sia.
Nel corso della sua auspicata risoluzione, creare questa barriera tra i dipendenti e l’applicazione qui protagonista è forse l’unica arma che il governo possa usare al momento per tutelare se stesso.