Disorientante è la parola che potremmo usare per descrivere diversi bivi: la fine di ogni fase, di un percorso accademico o lavorativo, che prevede l’inizio di un nuovo momento e di una scelta.
Ed è proprio lì che ci si inizia a sentire persi: da un lato la fortuna di essere liberi e poter fare ogni cosa (a differenza del passato), dall’altra la necessità di dati mezzi per dati fine (il dover avere delle solide basi per “costruirsi”).
Nel mio caso il senso disorientante di possibilità ostacolate si è presentato diverse volte nel corso della vita: ultimo (ma forse primo per gravità) il momento della laurea. Come penso sia successo a molti altri, finito quel percorso si esce fuori da un ambiente protetto (quello dei banchi) per sentirsi un po’ in mezzo agli squali. Non sai se nuotare o cambiare spiaggia.
Una cosa è certa: se per anni l’università ti sorride, ma stampata e letta ad alta voce la tua tesi ti stringe la mano e ti saluta. Nella maggior parte dei casi non c’è continuità, non c’è supporto. Brutale dirlo ma spesso c’è un totale disinteressamento da parte delle scuole. Ti ritrovi in quel momento in cui ogni conoscente, parente e forse passante ti chiede: e adesso? Lo senti talmente tante volte che inizi a chiedertelo costantemente anche tu. La personale risposta che ho scelto io (e tanti altri) è stata esplorare: cercare esperienze che mi mostrassero la vita fuori dal confine italiano.
La mia vita all’estero.
Tra le vaste scelte del mondo contemporaneo ho optato per un Erasmus Traineeships, cioè la possibilità di svolgere un tirocinio extra curriculare all’estero. Parliamoci chiaro: anche in questa scelta sembrava di nuotare tra gli squali. La burocrazia è lunga e prevede una totale autonomia nello svolgere le pratiche, le richieste, nel trovare un ente e via discorrendo.
Dopo mesi di pratiche sono stata accettata in un’università del Portogallo e dunque, a qualche mese di distanza dalla laurea, sono partita.
E quindi? Grandi cambiamenti e, di nuovo, un forte senso di disorientamento: ti ritrovi sola, in un Paese nuovo, una lingua diversa e una cultura da scoprire. In altre parole, le prime settimane non sono mai semplici: devi ritrovare il tuo equilibrio dopo aver lasciato indietro la tua zona di comfort.
Paradossalmente ho trovato supporto molto più nelle community e organizzazioni no profit per gli studenti Erasmus, rispetto al contesto accademico. Ciò non significa che nel corso dei mesi sia stato tutto una favola.
Pro e contro.
Sei lontana da tutto e da tutti ma conosci persone nuove (anche se nessuno ammette quanto sia difficile inizialmente). Sei in un Paese tutto da scoprire ma alle volte hai nostalgia del tuo. Puoi imparare una nuova lingua, ma quando non ci riesci è solo terreno fertile per le incomprensioni.
Se sei fortunata però sei supportata, come detto prima, da una serie di organizzazioni ed eventi pensati per chi sta vivendo questo tipo di esperienza. Il problema è che se non ti accontenti di una lunga serie di feste e - se dopo un periodo passato a partecipare ad eventi di ogni tipo - sei stanca di questa nuova monotonia, allora ecco di nuovo la sensazione: disorientamento.
Così ho cercato di vivere l’esperienza da un nuovo punto di vista: esplorando e partecipando alla cultura portoghese. Ho cercato di immergermi in un Paese totalmente, mentre forse, troppo spesso, viviamo il viaggio con superficialità. In questo modo ho capito che non dovevo riprendere il mio equilibrio ma trovarne uno nuovo: forse in contesti diversi mutiamo per adattamento (seppur sociali, siamo d’altronde animali). Credo che aprirsi totalmente ad un nuovo Paese, specialmente per chi ci si sposta per un periodo della propria vita, sia la chiave di questo adattamento, alle volte più semplici e alle volte più difficili. O perlomeno è stata la mia personale soluzione a un mondo totalmente nuovo. Quando le persone mi chiedono “ci ritorneresti?” io non so cosa rispondere.
Penso a quanto in un altro Paese si possa arrivare a sentirsi a casa, ma continuare a percepire un senso di lontananza. Penso a quanto si arricchisca il proprio bagaglio personale e a quante cose si possono perdere della vita che si lascia, delle persone che non sono più vicine. È un “più per meno”: perdi e acquisti ma spesso non comprendi quale delle due vinca.
Vale la pena?
Forse sarebbe definitivamente risolutivo vivere in un Paese che abbia le stesse opportunità di altri. Forse sarebbe utile non dover “scappare” in cerca di altro ma trovare già tutto in Italia. O perlomeno il necessario per intraprendere il proprio percorso. Insomma si parla da tempo di eventuali (ma sempre ipotetici) cambiamenti: più risorse dall’Europa, attenzioni alla continuità scuola-lavoro e collaborazione tra le aziende, sinergie tra lo Stato e il mondo accademico per creare possibilità lavorative. Mentre attendiamo (e non mancano le battaglie) cambiamenti in Italia, il paese continua a vedere gran parte della sua popolazione migrare.
Secondo Istat negli ultimi dieci anni sarebbero espatriati circa 337 mila giovani italiani. Nella maggior parte dei casi ci spostiamo in cerca di lavoro, emigriamo, cambiamo noi e cambiamo paese in una (alle volte entusiasmante altre estenuante) ricerca costante.
Resta però il dubbio: girovaghiamo per trovarci o per perderci?