Si fa presto a dire smart working, e che di fatto si può lavorare ovunque. E se sulla carta è sicuramente vero perché, come sappiamo, lo smart working - detto anche “lavoro agile” - non è legato né a orari né a luoghi, è anche vero che quando il lavoratore si trova all’estero ci sono alcune regole fiscali da considerare.
Con la circolare n. 25 del 18 agosto 2023, l’Agenzia delle Entrate ha dato chiarimenti in merito e ha fornito istruzioni applicative per chi è in smart working, con particolare attenzione al luogo da dove si svolge il lavoro ai fini dell’applicazione IRPEF.
Smart working all’estero: la residenza fiscale.
L’articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito anche “TUIR”) introduce e disciplina il concetto di “residenza fiscale”. In particolare, alla luce della disposizione citata, si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):
- sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
- hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;
- hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.
L'articolo 3 del TUIR stabilisce anche che le persone residenti in Italia devono dichiarare e tassare tutti i loro redditi, indipendentemente dalla loro origine. Questo principio è noto come il "World Wide Taxation Principle", il quale consente a vari Paesi di tassare i redditi guadagnati all'estero da cittadini italiani.
Il principio delle Convenzioni contro le doppie imposizioni tra l'Italia e il Paese estero in cui si genera il reddito è cruciale per determinare il luogo di tassazione. Altri fattori che possono influenzare il luogo in cui vengono pagate le tasse includono la durata del soggiorno all'estero e l'iscrizione all'AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all'estero).
Lavoro agile all'estero: come considerarlo.
Quando una persona fa smart working all'estero, la residenza fiscale si basa sugli stessi criteri che abbiamo appena detto: l’Agenzia delle Entrate ha infatti chiarito come, nonostante “l’impiego di forme di lavoro definite ‘agili’ che ha coinvolto imprese, professionisti e comparto pubblico, non sono state apportate modifiche alla normativa interna che abbiano inciso sulle regole di determinazione della residenza delle persone fisiche a fini fiscali”.
Pertanto, i criteri per la definizione della residenza fiscale delle persone fisiche rimangono quelli cui abbiamo già accennato, senza alcuna distinzione che il lavoro sia svolto in presenza o da remoto, con la conseguenza che le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della residenza fiscale.
Per esempio, se una persona straniera lavora dall'Italia per la maggior parte dell'anno e ha la sua famiglia qui, anche se non è formalmente registrata come residente, sarà considerata fiscalmente italiana.
Le varie casistiche.
Stessa cosa nel caso di italiani che lavorano all'estero in smart working, ma mantengono la loro registrazione anagrafica in Italia. Anche se vivono altrove, sono considerati residenti fiscali in Italia e questo anche se hanno trasferito il loro domicilio e dimora abituale all’estero. In questo caso vale, appunto, il requisito anagrafico ed è per questo motivo che la persona dovrà dichiarare i suoi redditi nello stato italiano, a meno che non ci sia una normativa convenzionale applicabile.
Un altro esempio riguarda un cittadino italiano che è stato iscritto all'AIRE per la maggior parte dell'anno fiscale e ha firmato un contratto di lavoro con un datore di lavoro straniero per cui lavora in smart working, nel quale viene indicato il Paese corrispondente all'iscrizione all'AIRE come sede ordinaria dell'attività. In questo caso, se il dipendente mantiene la sua dimora abituale in Italia e svolge la sua attività lavorativa in modalità agile da qui, può essere considerato fiscalmente residente in Italia.
Un ultimo caso è quello di una persona non residente in Italia - che quindi non ha nessuno dei 3 criteri di cui abbiamo parlato sopra - che da un Paese all’estero lavori per un’azienda italiana: in questo caso continua a mantenere la residenza nel suo Paese e a pagare le tasse lì.
Tassazione e lavoro agile: applicazione delle convenzioni.
Il lavoro agile spesso implica la riduzione della necessità di presenza fisica in un determinato Stato per svolgere l'attività. Ciò richiede ulteriori considerazioni in merito alle disposizioni delle Convenzioni, che determinano quale Paese ha il diritto di imporre tasse su specifici tipi di redditi. Questo è particolarmente importante per quanto riguarda i trattati conclusi dall'Italia e gli articoli del Modello OCSE che trattano i redditi di lavoro dipendente, i profitti d'impresa, le stabili organizzazioni e le professioni indipendenti.
Ad esempio, l'articolo 15 del Modello OCSE stabilisce che i redditi derivanti da lavoro subordinato sono tassati esclusivamente nello Stato di residenza del contribuente, a meno che l'attività sia svolta nell'altro Stato. In tal caso, i redditi devono essere soggetti a tassazione in entrambi i Paesi.
In base a queste disposizioni convenzionali, una persona non residente che svolge un'attività di lavoro dipendente in Italia è soggetta a tassazione nel nostro Paese per i redditi derivanti da questa attività, anche se l'attività viene svolta in remoto per un datore di lavoro estero. L'interpretazione delle leggi fiscali internazionali può essere complessa, quindi è sempre consigliabile consultare un esperto fiscale per garantire la corretta applicazione delle regole fiscali quando si lavora all'estero in modalità smart working.