Ho deciso di scrivere questo pezzo dopo una chiacchierata lunga, sincera e per certi versi inattesa con un amico, imprenditore come me. Una persona che stimo e con cui ci scambiamo idee da anni – su progetti, clienti, innovazione, leadership. Questa volta, però, abbiamo parlato d’altro. O meglio: abbiamo parlato di quello che spesso non si dice. Di fatica. Di fragilità. Di burnout.
Non mi ha chiesto di restare anonimo, ma per rispetto alla sua riservatezza non userò il suo nome. Non serve. Le sue parole parlano per molti di noi.
Quando hai capito che qualcosa non stava andando?
Non c’è stato un momento preciso, sai? Nessun “clic” improvviso. È stato più come un lento spegnimento. La stanchezza diventava cronica, il sonno sempre più leggero, irregolare. A un certo punto mi sono reso conto che dormivo forse due ore di fila per notte. E non per un periodo. Per mesi. Ho contato diciotto mesi, tutti così. Il corpo si spegneva, ma la testa non mollava. Pensavo fosse normale. “Fase intensa”, mi dicevo. Ma non era una fase. Era il corpo che mi chiedeva di fermarmi.
E la mente come stava?
Male. A tratti molto male. Non ero più lucido. Ogni mattina era una salita. C’erano giorni in cui non riuscivo ad aprire il laptop. Persino preparare la colazione per i miei figli mi sembrava un’impresa. Io, che ero sempre stato il primo ad alzarsi, quello che teneva insieme tutto. Quel ruolo da “motore” si era trasformato in una trappola.
E tu che sei sempre stato uno tosto… come l’hai vissuta?
All’inizio con vergogna. Ti senti inadeguato, fuori forma, in colpa. Come se stessi deludendo tutti. Poi ho capito che non era questione di debolezza, ma di limiti superati e mai rispettati. Avevo confuso il “tenere duro” con il “non ascoltarsi”. E lì ho iniziato a cambiare.
Cosa ti ha aiutato davvero a iniziare a uscire dal burnout?
La verità? Parlare. Ma sul serio. Non “fare due chiacchiere”. Intendo aprirmi. Ho cominciato con mia moglie. Poi con un amico. Poi con i miei collaboratori. Ho detto chiaramente: “Sono esausto. Non riesco più a reggere questi ritmi. Ho bisogno di aiuto”. Non con una maschera da eroe caduto. Con sincerità, con vulnerabilità. E quella verità ha tolto un peso enorme.
È stato difficile dirlo al team?
Sì, tantissimo. Mi sono sentito esposto. Ma sai cosa? La loro risposta è stata incredibile. Non pietà. Rispetto. E, paradossalmente, ho visto rafforzarsi il nostro legame. La fiducia. Hanno preso in mano delle cose. Hanno dimostrato autonomia. Io ho dovuto fare un passo indietro, certo, ma era un passo necessario. Per loro. E per me.
Ti aspettavi che il burnout arrivasse in quel modo?
No. E questo è il problema. Ci immaginiamo il burnout come un crollo drammatico, un blackout improvviso. In realtà è silenzioso. Arriva mascherato da dedizione, da ambizione, da “è solo un periodo”. Nessuno ti dice che potresti svegliarti un giorno e non riconoscerti più.
E ora, come stai? Come vivi il “dopo”?
Non lo chiamo nemmeno “dopo”. È un “durante” continuo. Sto meglio, sì. Dormo di più. Prendo pause vere. Metto dei limiti. Ma ho capito che non si tratta di guarire e basta. Si tratta di rimanere in ascolto. Di ricalibrare ogni giorno. E soprattutto, di smettere di fingere che vada tutto bene quando non è così.
Cosa diresti a un altro imprenditore che si sente come ti sei sentito tu?
Gli direi di non aspettare di crollare. Di non confondere la resistenza con la lucidità. Chiedere aiuto non è arrendersi, è prendersi sul serio. E poi gli direi di non credere alla favola dell’imprenditore invincibile. Siamo persone. Se non stai bene tu, il tuo progetto non ha fondamenta solide.
Ultima domanda: il burnout ti ha tolto qualcosa, ma ti ha anche dato qualcosa?
Mi ha tolto l’illusione che tutto dipenda solo da me. Ma mi ha dato una forza nuova: quella di scegliere, ogni giorno, di essere presente. Non perfetto. Presente. Ed è un gran bel punto da cui ripartire.
Non so se il mio amico lo sa, ma il suo racconto mi è rimasto dentro. Forse perché in fondo ci siamo passati in tanti. O forse perché ci ricorda che l’ambizione è bella, ma va nutrita con energia sana. E che il coraggio, a volte, sta nel fermarsi.
Se anche solo una persona leggendo queste parole deciderà di rallentare un momento, allora questa conversazione, questo tempo condiviso, avranno avuto senso.