L’insoddisfazione dei lavoratori italiani è ormai un dato di fatto, certificato dal rapporto European Workforce Study 2025 di Great Place to Work. Con un tasso di soddisfazione del 43%, l’Italia si colloca all’ultimo posto in Europa, ben al di sotto della media del 59%. Questo dato è particolarmente significativo in un contesto in cui i Paesi nordici, come Danimarca, Norvegia e Svezia, raggiungono percentuali rispettivamente del 75%, 73% e 68%.
Ma cosa si cela dietro questo malessere diffuso? La percezione di un ambiente lavorativo insoddisfacente non è solo una questione di retribuzioni o ritardi tecnologici, come sottolinea Alessandro Zollo, ceo di Great Place to Work Italia. Si tratta piuttosto di una crisi che coinvolge profondamente le relazioni tra dipendenti e leadership, nonché la cultura aziendale nel suo complesso. La questione è delicata, perché spesso si tende a generalizzare: sui social media e nei dibattiti pubblici, si parla di manager incapaci, aziende insensibili, o di una mentalità lavorativa italiana arretrata. Ma siamo davvero sicuri che la responsabilità sia tutta da attribuire ai capi?
Una crisi di produttività e relazioni
La correlazione tra benessere lavorativo e produttività è evidente: Paesi come i Paesi Bassi e la Svizzera, che vantano una cultura aziendale improntata sulla valorizzazione delle persone, mostrano anche una produttività superiore, calcolata come PIL per ora lavorata. In Italia, invece, si scontano anni di leadership basata sul controllo più che sulla collaborazione. Come evidenzia il rapporto, meno della metà dei manager italiani (48%) dimostra reale interesse per i suggerimenti dei propri dipendenti.
Questo atteggiamento genera un circolo vizioso: i lavoratori si sentono ignorati, la motivazione cala, e con essa la produttività. Tuttavia, è riduttivo imputare tutto alla leadership. Bisogna interrogarsi anche sulla cultura del lavoro stessa: i dipendenti italiani sono spesso influenzati da un clima di sfiducia verso le proprie aziende e da aspettative non realistiche, alimentate dalla retorica sui social e dal confronto con altre realtà.
La centralità dell’ascolto e del rispetto
Secondo Zollo, uno dei problemi fondamentali è la carenza di strumenti di ascolto nelle aziende italiane. Le analisi di clima organizzativo, che altrove sono una prassi consolidata, in Italia sono ancora troppo rare. C'è quasi una “paura”, come se portare alla luce le criticità potesse mettere in discussione lo status quo. Eppure, ascoltare i dipendenti è il primo passo per comprendere e migliorare.
Ma non basta. L’insoddisfazione lavorativa è legata a cinque fattori chiave: rispetto, equilibrio tra vita privata e lavoro, sicurezza psicologica, coerenza della leadership e retribuzioni adeguate. Mentre i Paesi nordici eccellono in questi aspetti, l’Italia arranca, anche per via di uno stile di leadership che non ha saputo evolversi. Il modello “comando e controllo”, dominante per decenni, non funziona più, soprattutto con le nuove generazioni, che spesso scelgono di emigrare.
È solo un problema di capi?
È qui che si apre una riflessione più ampia. Davvero il problema è solo dei manager? O c'è anche una responsabilità collettiva, che coinvolge dipendenti, istituzioni e cultura sociale? La percezione negativa delle aziende italiane è spesso amplificata dai social, che tendono a dipingere un panorama uniforme, come se tutte le imprese fossero identiche. Tuttavia, questa generalizzazione è ingannevole. Esistono realtà virtuose anche in Italia, ma faticano a emergere in un contesto in cui le critiche prevalgono sulle buone pratiche.
Cambiare è possibile
Per migliorare la situazione, l’Italia deve intraprendere due strade. La prima è un cambio di mentalità: ascoltare di più i dipendenti, investire nel loro benessere e costruire una cultura aziendale inclusiva. La seconda è una revisione dello stile di leadership, che deve puntare sulla fiducia e sulla valorizzazione delle persone, abbandonando modelli autoritari ormai obsoleti.
Forse è il momento di smettere di vedere il mondo del lavoro italiano come un caso a parte e iniziare a guardare al cambiamento come una responsabilità condivisa. Solo così si potrà risalire la classifica della soddisfazione lavorativa, dimostrando che anche in Italia è possibile costruire luoghi di lavoro eccellenti.