Sono un ingegnere chimico di Sassari, ho 35 anni con circa 10 anni di esperienza lavorativa. Da subito dopo la laurea ho avuto un’occupazione presso uno stabilimento chimico in Sardegna. Successivamente mi sono occupato di ingegneria vera e propria e quindi di progettazione di impianti chimici presso società di ingegneria nel Nord Italia e poi all’Estero. In quegli anni ho avuto possibilità di viaggiare molto per lavoro verso la Cina e gli Stati Uniti, grazie a queste esperienze e al contatto di persone provenienti da diverse realtà sono cresciuto dal punto di vista professionale e umano.
Tuttavia, dopo anni avevo sempre voglia di tornare sempre in Sardegna, la mia Terra natia. Un’isola in mezzo al Mediterraneo dove molte volte sembra che le cose più semplici risultino impossibili, dove i costi dei trasporti la rendono inaccessibile, dove il costo dell’energia è il più alto d’Europa e sconsiglia a tutti di investire in quel territorio. Dove sempre più ragazzi affollano gli aeroporti e gli arei per seguire un sogno che nella nostra Isola è sempre più impossibile. Ma dove anche gente laboriosa si da’ da fare e lotta dalla mattina alla sera per rendere quest’Isola sempre più competitiva. Un’Isola che quando vai solo anche in vacanza non te ne vorresti più andare via perché ti innamori dei suoi odori, delle sue tradizioni e dei suoi tramonti, dove la qualità della vita per certi versi forse è la migliore al mondo. E io ci sono nato!
Questa Isola mi è mancata tanto e ho deciso di tornare con un “posto fisso”. Certo le ambizioni professionali in questo caso sono state messe da parte, i viaggi all’estero e il confronto con quei colleghi non sono più all’ordine del giorno, le prospettive di crescita e di carriera sono svanite. Però ero nella mia Terra con la mia gente. Insomma: una scelta di vita.
Poi è arrivata la pandemia, una cosa più grande di noi, da film d’azione americano, davvero qualcosa che non si poteva mai immaginare che potesse accadere nel 2020. Si pensava che fosse solo roba da Medioevo, da libri di storia. Una cosa però è servita, ci ha fatto capire che siamo tutti uguali e che forse tutti possiamo avere le stesse opportunità.
Con il lavoro da remoto infatti, ci hanno fatto capire che si può lavorare anche da un paesino del Centro Sardegna per una multinazionale americana. Con tutti i vantaggi che ne susseguono: stop all’inquinamento nelle grandi città, meno stress, la gente non è più costretta ad emigrare, un ritorno economico per questi territori, rinascita dei servizi essenziali che in certe zone sono stati chiusi per mancanza di persone. La speranza di questo fenomeno è che l’Italia finalmente torni un Paese veramente inclusivo.
Provo quindi a riprendere anche io quelle esperienze che avevo lasciato qualche anno fa, cerco annunci di lavoro che offrissero opportunità lavorative in linea con le mie caratteristiche che si potessero svolgere da remoto - e vi assicuro che si può fare - anche con qualche trasferta, però in un contesto più internazionale. Però ecco la sorpresa che non ti aspetti dopo oltre un anno di pandemia, perché quello che leggo e sento rispondermi è:
- Solo residenti nel Comune;
- No, il posto è solo in sede a Milano;
- Vogliamo le persone in sede;
- Non è pensabile lavorare dalla Sardegna…
Dispiace tanto, non solo personalmente – la mia rete professionale resta - quanto piuttosto perché sembra che la pandemia da SarsCoV2 non abbia insegnato nulla a certe organizzazioni.
Eppure esperti e opinionisti riguardo al lavoro da remoto la chiamavano la nuova realtà. Non è servita la pandemia per qualcuno. Magari sono quelli che a parole dicono che siamo noi giovani il cambiamento, ma chissà se loro cambieranno mai davvero.