I lavoratori formati con logiche video-ludiche apprendono più informazioni fattuali, raggiungono un livello di abilità superiore e conservano le informazioni più a lungo rispetto ai lavoratori che hanno imparato in un ambiente meno interattivo. Lo afferma uno studio condotto da Traci Sitzmann presso la Denver Business School dell'Università del Colorado nel 2011.
Sarà per questo che la gamification è stata adottata da multinazionali come Deloitte, IBM e Cisco per scopi formativi, di marketing e onboarding del personale. L’interattività, la profondità tridimensionale e la capacità immersiva dei giochi, infatti, funzionano meglio rispetto al canonico “leggere righe nere su un foglio bianco”.
Simboli, palazzi della memoria e Minecraft.
Abbiamo parlato anche noi di questo argomento prendendo come esempio il gioco online Minecraft, che prevede anche una versione interamente dedicata all’apprendimento. Minecraft Education (MCE) è sviluppato per la didattica infantile, ma i più avanguardisti della formazione professionale iniziano a considerare l’idea di sviluppare programmi di formazione professionale in versione ludica per allenare le soft skills, indicate come fondamentali da chi si occupa di HR.
Il cervello umano, infatti, non funziona in bianco e nero, ma ha bisogno di figure complesse e dall’intenso significato per essere riconosciute e assimilate efficacemente. Lo conferma Tony Buzan, l’inventore del mind mapping. Per l’esperto il cervello umano preferisce quindi visualizzare le informazioni a colori, possibilmente in tre dimensioni e con un linguaggio fatto di simboli, piuttosto che parole scritte. Come anche Socrate afferma nel Fedro, “la scrittura non ha, in sé, una funzione conoscitiva”. Socrate infatti privilegiava la memorizzazione usando la tecnica dei loci, in cui, per apprendere e trattenere, si costruivano dei “palazzi della memoria”, un po’ come accade in Minecraft.
Inoltre, i simboli sono il linguaggio del subconscio, come afferma lo psicoanalista Carl Gustav Jung nel suo lavoro. Il subconscio è considerato l’hardware umano, il luogo in cui le informazioni diventano parte di noi stessi.
Numeri che raccontano i fatti.
Ma quanto siamo abituati ai giochi elettronici? I numeri rispondono chiaramente. Una recente ricerca realizzata da Euromedia Research dimostra che l’81,4% degli italiani ha giocato a un videogioco negli ultimi 6 mesi. Solo maschi? No, il 75,1% delle donne intervistate si dichiara gamer abituale, con un 33% di loro che gioca tutti i giorni.
Il mondo è cambiato, così come cambia la società e le persone che la costituiscono. Se nel secondo Dopoguerra c’era poca voglia di giocare e troppa necessità di ricostruire, in questo periodo storico, sicuramente più agiato, le abitudini e le necessità sono diverse. Le nuove generazioni di professionisti sono nati in un mondo in cui il gioco è presente in tutti gli aspetti della vita, da quello ricreativo a quello didattico. É giunta l’ora di implementarlo con decisione anche in quello professionale.