Non solo smart working, la pandemia ha determinato un balzo in avanti nell’uso dei software di monitoraggio.
Se l’impiego dei software di monitoraggio è generalmente associata a Amazon - ben visibile nel documentario del 2019 “The World according to Amazon” di Adrien Pinon e Thomas Lafarge - la loro diffusione è ben più vasta e non risparmia neppure i lavoratori delle PMI italiane.
Dicevamo non solo Amazon, dove il loro software di produttività non calcola solo le prestazioni dei magazzinieri ma segnala anche quelli che andrebbero cacciati a suo standard di giudizio. Sul mercato ci sono una serie di strumenti per il monitoraggio degli impiegati. Si chiamano Insightful, Connecteam, Clockify o ActiveTrak e si basano sull’impiego di algoritmi di intelligenza artificiale (AI) che aggregano dati per analizzare la produttività delle persone. Quante mail mandate, il tempo passato davanti lo schermo, quello di inattività, l’intervento su documenti e file, il tempo passato sul web, l’impiego di App, ecc…
La pandemia e lo smart working sono stati il momento in cui questi software hanno conosciuto un vero boom. Ad esempio Insightful - che tra le sue funzioni ha quella di scattare screenshot in momenti casuali per verificare se la persona sia seduta davanti allo schermo - dichiara che il suo sistema è utilizzato in 130mila aziende nel mondo, ma un’inchiesta di Domani, riportata nell’articolo del 19 giugno “C’è un nuovo padrone, l’AI, sorveglianza i lavoratori”, riporta che pure in Italia un qualche tipo di software di monitoraggio è impiegato nel 43% delle PMI.
Dove sta il nodo della questione? L’AI ha l’indubbio vantaggio di elaborare una quantità di dati immensa, ma i rischi di un eccessivo affidamento agli output generati sono amplificati dall’intelligenza artificiale. In sostanza l’AI può dirci quanto tempo un lavoratore ha svolto un compito quantitativo ma niente ha da dire sulla qualità. Insomma il sistema “spione” si può insospettire se stiamo cinque minuti lontano dalla tastiera ma nulla può sapere del tempo pensato a riflettere.
E qui entriamo in un’altra categoria di rischi: le “tecnologie della sorveglianza” riducono l’autonomia e la privacy e aumentano lo stress.
In sede di Unione Europea e di Garante della privacy italiano si stanno facendo passi avanti nella normativa per la protezione dei lavoratori vietando l’impiego di alcuni algoritmi per il riconoscimento delle emozioni in sede di lavoro o durante il colloquio.
Ogni proposta di messa al bando o divieto di questi algoritmi basati sull’AI è partita dal presupposto della violazione di un diritto, la privacy, quando più che altro sarebbe da contestarne proprio l’effettiva utilità!