Secondo la definizione dell’OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità, il burnout è una condizione cronica di stress legato al lavoro, caratterizzata da un senso di totale esaurimento sia fisico che mentale. Il termine burnout indica quindi letteralmente “sentirsi bruciati”, ed è da una decina d’anni usato per descrivere uno specifico tipo di esaurimento psico-fisico causato dall’ambiente lavorativo. È una condizione che colpisce indistintamente ogni generazione in età lavorativa.
A giudicare da una ricerca internazionale di McKinsey, infatti, l’84% della Generazione Z, il 74% dei Millennial e il 47% dei Baby Boomers hanno dichiarato di essere esauriti. In Italia, pare che il 76% dei lavoratori e delle lavoratrici italiane abbia sperimentato almeno un sintomo di burnout, e ad una persona su cinque è stato diagnosticato. È quanto emerge dalla ricerca BVA Doxa commissionata nel 2023 da Mindwork, una società italiana per la consulenza psicologica online in ambito aziendale.
Ma che cosa vuol dire burnout nello specifico? Questa acura situazione di stress è caratterizzata principalmente da tre elementi:
- Esaurimento: le persone si sentono prosciugate ed esauste emotivamente, incapaci di gestire le mansioni del lavoro. Si manifestano stanchezza, abbattimento morale e una sensazione di mancanza di energie necessarie per affrontare nuovi compiti.
- Distacco dalle attività lavorative: il lavoro è percepito sempre più stressante e frustrante. Le persone possono sviluppare un atteggiamento cinico verso i colleghi o verso coloro a cui è destinato il loro lavoro (come i pazienti, non a caso fu osservato per la prima volta in ambito medico). Parallelamente, avviene un distacco emotivo progressivo e una diminuzione dell’impegno verso il lavoro.
- Riduzione delle prestazioni lavorative: chi sperimenta il burnout ha una diminuzione di motivazione, concentrazione e creatività. Con il declino delle prestazioni lavorative, le persone si sentono sopraffatte dalle richieste professionali, perdendo fiducia nelle proprie capacità di rispondere adeguatamente ai compiti lavorativi. C’è pure un rischio più alto di infortuni fisici.
Il principio: non riuscire a mantenere gli standard
Il termine burnout è comparso inizialmente in ambito sportivo a inizio Novecento per riferirsi agli atleti che, dopo alcuni successi, non riuscivano a mantenere elevati standard di performance. Il burnout come particolare fenomeno di stress fu definito per la prima volta nel 1974 da Herbert Fraudenberger. Per lo psicologo statunitense il “bruciarsi” era conseguenza di un prolungato stato di stress emotivo cronico e esaurimento osservato negli operatori di comunità che avevano un rapporto diretto e continuativo con una fascia di utenza particolarmente disagiata.
La psicologa Christina Maslach in seguito ha creato il Maslach Burnout Inventory (MBI), un test utilizzato per misurare il burnout lavorativo soprattutto nel personale che opera nei servizi sociosanitari e nelle istituzioni educative. Il test MBI è composto da 22 item che misurano 3 dimensioni indipendenti della sindrome di burnout, ciascuna individuata da una specifica scala. Oggi ci sono molti altri test validi e specifici per varie professioni: ne ha parlato Emilie Aries, fondatrice e CEO di Bossed Up, nel suo corso su LinkedIn “Avoid Career Burnout”.
Le cause del burnout
Le cause del burnout derivano da un divario significativo tra le richieste dell’ambiente lavorativo e le risorse personali del lavoratore, divario che consuma l’energia e l’entusiasmo della persona coinvolta.
Influiscono caratteristiche individuali, sembra diffuso specialmente nei primi anni di carriera e colpisce più frequentemente le donne. Gli elementi che contribuiscono a questa sindrome includono il sovraccarico di attività, turni di lavoro sfidanti, mancanza di gratificazioni, retribuzione inadeguata, mancanza di partecipazione alle decisioni, mancanza di equità, conflitti di valori, ambiguità o conflitto di ruoli. Ma tra le cause non bisogna dimenticare le caratteristiche individuali della persona, come introversione, rigidità, eccessiva ambizione, competizione, iperattività, fissazione su obiettivi irrealistici e abnegazione lavorativa. Tutti questi aspetti sono concause del fenomeno.
Cosa fare se si è in burnout?
Innanzitutto bisogna riconoscerlo, perché questa condizione presenta segnali e sintomi fisici e psicologici che si sviluppano gradualmente, rendendo difficile la loro identificazione, soprattutto nelle fasi iniziali. I sintomi fisici includono una costante sensazione di stanchezza, difese immunitarie basse che portano a malattie frequenti, mal di testa o dolori muscolari ricorrenti e disturbi del sonno e dell’appetito. Quelli psicologici, come anticipato, coinvolgono sensazioni di fallimento, scarsa autostima, senso di impotenza o sconfitta, distacco dal lavoro, mancanza di motivazione e soddisfazione ridotta, insieme a tensione costante, irritabilità e cinismo.
Quando si sospetta il burnout, la risposta iniziale di superare la stanchezza e l’esaurimento tramite la forza di volontà tende a peggiorare la situazione. Per affrontarlo, è necessario modificare lo stile di vita da una parte e l’approccio al lavoro dall’altra. Secondo una recente ricerca pubblicata nel sito della National Library of Medicine statunitense, il management dovrebbe adottare strumenti specifici per l’aggiornamento professionale, migliorare la supervisione e fornire feedback adeguati. La flessibilità nelle mansioni e nei ruoli lavorativi dovrebbe essere promossa per adattarsi alle diverse motivazioni e esigenze individuali.
È necessario anche pianificare la gestione delle dinamiche aziendali per controllare e intervenire sui livelli di conflitto e tensione quando diventano eccessivi.
Inoltre, strategie di problem-solving chiare e mirate possono contribuire a definire gli obiettivi, sviluppare modelli di gestione adatti e investire nella formazione come supporto per contrastare il burnout. Da parte di chi lavora, si può provare a bilanciare meglio la vita professionale con quella privata, prendersi il giusto riposo, fare attività fisica regolare e, quando i sintomi sono significativi, cercare l’aiuto di un professionista competente.
In generale, è possibile “riaccendere” il cervello e il corpo dando loro l'opportunità di allontanarsi e resettarsi. Una maggiore distanza e un maggiore distacco dal lavoro sono positivi, e anche avere un legame sano e solido con i colleghi aiuta molto. Il benessere è influenzato positivamente in molti modi, e le scelte personali di recupero al di fuori del lavoro fanno sicuramente una grande differenza.