In un recente articolo pubblicato su The Economist, si discute delle grandi differenze tra i datori di lavoro britannici in merito a come assumono, pagano e promuovono il personale. L’analisi, basata sul British Opportunity Index sviluppato dal Burning Glass Institute, mette in luce le prassi lavorative di 151 grandi aziende britanniche che impiegano quasi il 10% della forza lavoro nazionale.
Accesso al lavoro: meno barriere e nuove opportunità
Alcune aziende britanniche stanno abbandonando il tradizionale requisito della laurea. Schroders, uno dei più antichi gestori di fondi della Gran Bretagna, è un esempio: ha allargato il proprio bacino di selezione includendo candidati senza laurea ma con competenze tecniche come IT e gestione dei dati. Secondo uno studio, i dipendenti senza laurea hanno tassi di fidelizzazione superiori rispetto ai colleghi laureati.
Non tutte le imprese adottano questa filosofia. Il British Opportunity Index mostra significative disparità: nei migliori quintili di aziende, c’è una probabilità del 67% che un posto non richieda una laurea, rispetto al 36% nel quintile inferiore. Anche aziende dello stesso settore possono avere approcci molto diversi: Chanel, per esempio, assume più personale senza laurea rispetto a Burberry. Analogamente, nel campo tecnologico, Amazon è più incline rispetto a Meta a considerare sviluppatori software privi di titoli accademici.
Un caso emblematico è BAE Systems, gigante della difesa britannica, che offre apprendistati che permettono di conseguire una laurea lavorando. Questa strategia non solo colma lacune in campi come l’ingegneria aerospaziale, ma aiuta anche a formare competenze specialistiche, difficili da reperire sul mercato.
Promozioni: un ponte verso la crescita
La promozione è un altro parametro chiave. Nel quintile migliore delle aziende, le probabilità di promozione entro tre anni sono doppie rispetto al quintile peggiore. La qualità della gestione gioca un ruolo cruciale: alcune aziende, come Lloyds e HSBC, si distinguono per migliori opportunità rispetto a concorrenti stranieri come Deutsche Bank.
La formazione è essenziale per la crescita professionale, ma in questo campo le aziende britanniche mostrano carenze. La spesa media per lavoratore è la metà di quella europea, aggravata da un’imposta sugli apprendistati introdotta nel 2017. Tuttavia, alcune aziende hanno investito significativamente nella formazione: BAE Systems, ad esempio, ha più che raddoppiato la spesa in questo settore tra il 2019 e il 2023.
Retribuzione e fidelizzazione: grandi divergenze
Le differenze salariali sono ampie. Per un data scientist, il 20% migliore delle aziende offre uno stipendio medio annuo di £73.000, rispetto a £38.000 nel quintile inferiore. Anche in settori a basso margine, come l’ospitalità, alcune aziende riescono a pagare meglio di altre. Ocado, ad esempio, eccelle nella retribuzione dei responsabili marketing rispetto a concorrenti come Marks & Spencer.
La fidelizzazione dei dipendenti è altrettanto varia. Le aziende migliori mantengono il 71% dei lavoratori per almeno tre anni, contro il 45% delle peggiori. La perdita di personale è costosa: sostituire un lavoratore può costare fino al 35% del suo salario annuo. Beazley, un’assicurazione specializzata, ha un tasso di abbandono annuo dell’8,3%, significativamente inferiore alla media di settore (12%). Questo risultato deriva da una serie di benefit che migliorano il benessere dei dipendenti, come pranzi pagati, congedi studio e sabbatici ogni dieci anni.
Un’ispirazione per le imprese italiane ed europee
Questo studio offre spunti significativi anche per le imprese italiane ed europee, nonostante le profonde differenze nei contesti economici e culturali. In Italia, dove il mercato del lavoro è spesso caratterizzato da una rigidità strutturale e un’enfasi tradizionale sui titoli di studio, emerge l'opportunità di adottare un approccio più flessibile e orientato alle competenze, simile a quello adottato da alcune aziende britanniche.
Le imprese italiane potrebbero ampliare il bacino di candidati eliminando requisiti di laurea non essenziali, soprattutto per ruoli tecnici o operativi, e investire in percorsi formativi interni per colmare il divario di competenze. Inoltre, il miglioramento delle opportunità di promozione e delle politiche di fidelizzazione potrebbe ridurre il fenomeno del brain drain e incentivare i giovani talenti a restare nel Paese. Un maggiore investimento nella formazione continua, infine, rafforzerebbe la competitività aziendale in un mercato sempre più globalizzato e tecnologico, offrendo un contributo concreto alla crescita del capitale umano europeo.
Politiche interne innovative possono fare la differenza, migliorando accesso, promozioni, retribuzione e fidelizzazione. Anche per le aziende italiane ed europee, adottare strategie simili rappresenta non solo una sfida, ma anche un’opportunità per creare un mercato del lavoro più dinamico, inclusivo e competitivo.