Marco Carlomagno è giornalista pubblicista e Segretario generale di FLP - Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche, un sindacato indipendente che accoglie manager e impiegati della pubblica amministrazione. Da anni è attivo per sensibilizzare sui nuovi modelli organizzativi nella PPAA e ha scritto numerosi saggi e articoli per varie riviste e giornali sul tema. Il suo ultimo libro, uscito nel 2022 e pubblicato per FrancoAngeli Editore, è un saggio curato insieme a Roberto Reale, con presentazione di Antonio Naddeo e prefazione di Mariano Corso, dal titolo Dimensioni dello smart working. Sfide ed esperienze per una transizione sostenibile.
È stato nostro ospite allo Smart Working Day di Roma nel 2023 e lo avevamo intervistato nel 2021. Oggi alla luce delle recenti innovazioni organizzative introdotte nel mondo del lavoro in Italia - ad esempio gli accordi siglati in realtà come Lamborghini, Luxottica o Intesa - siamo tornati a chiedergli un parere sul tema del bilanciamento tra tempo libero e tempo di lavoro.
Il Financial Times recentemente ha tirato le somme sulla sperimentazione della settimana corta nel Regno Unito del 2022. A quanto pare la settimana di 4 giorni può funzionare solo se aumenta la produttività nel lungo periodo. A suo avviso qual è l’obiettivo principale di un accordo in termini di benessere dei dipendenti e produttività economica?
La settimana lavorativa su 4 giorni, a parità di retribuzione, permette di aumentare la produttività, migliorare la qualità del lavoro, abbattere i costi dei trasporti, ridurre in modo significativo l’emissione di gas, conciliare i tempi vita-lavoro, in particolare per chi assiste bambini piccoli o familiari non autosufficienti.
Non lo diciamo noi, ma i principali osservatori internazionali, a partire dall’OCSE - Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ha stimato un aumento della produttività mediamente del 20% nei Paesi che sono più avanti nella sperimentazione come il Regno Unito, il Belgio, l’Olanda, la Germania e la Spagna, e notevoli risparmi per i lavoratori (circa 2.500 euro su base annua). Economie resisi disponibili in buona parte dai costi degli spostamenti casa lavoro con mezzi privati.
La più importante ricerca in questo ambito è stata condotta in UK dove circa 61 aziende e 3000 dipendenti hanno eseguito una prova di sei mesi della settimana lavorativa di quattro giorni, studiando l’impatto della riduzione dell’orario di lavoro sulla produttività delle imprese e sul benessere dei lavoratori, nonché l’impatto sull’ambiente e la parità di genere.
La grande maggioranza - circa il 91% - delle aziende che hanno preso parte alla sperimentazione, ha deciso di mantenere i quattro giorni settimanali dopo il periodo di prova. Solo il 4% ha dato un “no” definitivo.
Va considerato, inoltre, che nelle aziende monitorate durante i periodi di prova, rispetto a periodi simili dell’anno precedente, sono aumentate le entrate del 35%, sono cresciute le assunzioni ed è diminuito l’assenteismo.
Anche la salute e il benessere dei dipendenti sono migliorati, con aumenti significativi osservati nella salute fisica e mentale, nel tempo trascorso nell’esercizio fisico e nella soddisfazione generale della vita e del lavoro. I tassi di stress, burnout e affaticamento sono diminuiti, mentre i problemi con il sonno sono diminuiti.
Senza considerare i risultati ambientali che sono stati più che incoraggianti, con il tempo di spostamento diminuito di mezz’ora a settimana nell’intero campione.”
Come si traduce la maggiore flessibilità e la rimodulazione degli orari di lavoro in un’azienda per i dipendenti?
La rigida organizzazione del lavoro, basata su orari di lavoro cristallizzati e uguali per tutti già da tempo fortunatamente ha lasciato il passo ad una flessibilità, all’interno del cosiddetto orario di servizio, dell’orario individuale. Questo è stato reso possibile da una diversa organizzazione del lavoro, da un impulso alla digitalizzazione dei processi lavorativi, e dalla stessa possibilità di svolgere in un luogo diverso da quello del posto di lavoro la gran parte delle attività.
Le economie di scala derivanti da queste innovazioni comportano la possibilità indubbia di ammortizzare i tempi “morti” correlati al raggiungimento del posto di lavoro, un minore stress, la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa anche in orari diversi da quelli originariamente previsti in modo collettivo a prescindere dalle singole esigenze. Questo comporta non solo una maggiore resa, ma soprattutto la possibilità di allargare i tempi e le modalità di fruizione per chi riceve i servizi, il tutto in un arco temporale significativamente più ampio.
Quali sono i benefici per i dipendenti riguardanti il tempo libero aggiuntivo ottenuto grazie a questa nuova modalità di lavoro?
Nelle realtà dove è stato adottato il regime dell’orario flessibile con riferimento alla settimana su 4 giorni i lavoratori hanno utilizzato il cosiddetto modello 100:80:100. Vale a dire il 100% dello stipendio per l’80% del tempo con il 100% della produttività. I dati rilevati, come abbiamo già avuto modo di dire, oltre a concreti risparmi economici, riportano che circa il 40 % dei dipendenti ha ridotto il proprio livello di stress, mentre per più del 50% si sono ridotti il burnout. Inoltre, a livello generale, sono diminuite l’ansia, l’affaticamento e l’insonnia.
Nel 2021 il governo giapponese, dove esiste un problema opposto, che è quello del cosiddetto “superlavoro”, che ha portato a fenomeni preoccupanti come quello del karoshi, ovvero la morte per troppo lavoro, ha adottato un piano per raggiungere un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata incoraggiando la possibilità di articolare la prestazione lavorativa su 4 giorni settimanali. A questo si aggiunge che si è potuto dedicare un maggior tempo alla famiglia, agli affetti, ad un utilizzo proattivo del tempo libero che permette poi di rendere meglio e più proficuamente la propria prestazione lavorativa.
Questo tipo di innovazioni potrebbero essere introdotte anche nel settore pubblico?
La tragica esperienza della pandemia ha dimostrato come la Pubblica amministrazione, seppure forzosamente e su spinte esterne di carattere assolutamente emergenziale, sia stata comunque in grado di mettere in campo una forte accelerazione sui temi della digitalizzazione, dell’innovazione organizzativa e della conciliazione vita lavoro, adottando in modo pressoché generalizzato il lavoro da remoto. Il tutto non solo senza produrre interruzioni di servizi, ma invece riuscendo a gestire una incredibile mole di attività aggiuntive legate alle misure adottate in campo economico per intervenire nei diversi settori dei sussidi e delle erogazioni alle imprese ed al personale in una fase di blocco dell’economia.
Certo bisogna proseguire con decisione nel campo dell’innovazione e della digitalizzazione, ma già oggi vi sarebbero tutte le condizioni per poter sperimentare una diversa articolazione dell’orario di lavoro anche su 4 giorni. Tra l’altro la tecnologia permette lo svolgimento di gran parte delle attività da remoto, sia con lo smart working, ma anche con le altre modalità lavorative come ad esempio il coworking, o il telelavoro, per cui non è detto che tale prospettiva debba intendersi con l’articolazione dei 4 giorni nei medesimi giorni per tutti. In buona sostanza una cosa è l’articolazione individuale della prestazione lavorativa, altra è l’apertura degli Uffici e la fruibilità dei servizi, che anzi con un adeguata e intelligente articolazione organizzativa potrebbe essere resa già da subito per più dei 5 giorni oggi canonici.
Con indubbi benefici sulla produttività e la collettività.
Cosa frena il settore pubblico italiano ad andare in questa direzione?
Il permanere di una “cultura” burocratico-formalista” basata su una gerarchizzazione ottocentesca dell’organizzazione del lavoro, così come il mancato scioglimento del nodo che avviluppa il nostro settore pubblico che non sceglie ancora se seguire la strada dell’Amministrazione per obiettivi, o proseguire su quella dell’Amministrazione per atti. Questo porta ancora buona parte della Dirigenza di vertice a pensare che la timbratura del cartellino per tutti alla stessa ora e la presenza sulla “sedia” sia garanzia di corretta esecuzione della prestazione lavorativa. Manca quindi in gran parte un’adeguata e moderna cultura organizzativa e seppure il PNRR abbia messo al centro delle proprie azioni proprio il rinnovamento delle Pubbliche Amministrazioni, manca ancora una visione d’insieme e il lavoro pubblico viene visto come un costo e non un valore.
Ma su quest’aspetto non possiamo restare indietro. In Italia si lavora mediamente più di 1.700 ore all’anno contro le 1.350 ore della Germania, con un reddito percepito pari a circa il 30 per cento in meno.
È necessario quindi abbandonare la stagione del lavoro precario, sottopagato, in nero e passare a nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che mettano insieme digitalizzazione, innovazione, creatività, utilizzando tutte le forme di lavoro da remoto e quelle legate alla flessibilità oraria.
Strumenti che possono rendere anche più attrattive per i giovani e per le nuove professionalità le nostre Pubbliche amministrazioni, oggi ingessate da ordinamenti professionali arcaici e modelli organizzativi vetusti.