Lo smart working sta trasformando il mondo del lavoro (presenze, spostamenti, etc.) nel Nord Italia, come emerge dalla ricerca condotta dal Centro Studi di Assolombarda in collaborazione con Zucchetti riportata dal Sole 24 Ore di oggi (27.11). L’indagine, basata su dati amministrativi raccolti da 15.000 aziende e relativi a 900.000 lavoratori, rivela un panorama in cui il lavoro da remoto si concentra maggiormente nelle giornate di giovedì e venerdì. Questa tendenza non solo ridisegna le dinamiche della settimana lavorativa, ma offre spunti interessanti per ripensare la mobilità urbana, il welfare aziendale e le strategie di sostenibilità.
Il lavoro da remoto si concentra verso la fine della settimana
Il venerdì è la giornata in cui si registra la maggiore concentrazione di ore dedicate al lavoro da remoto (24%), seguita dal giovedì (20,1%). Il lunedì e il mercoledì si attestano su valori simili, rispettivamente al 19,1% e al 18,5%, mentre il martedì è il giorno in cui la maggior parte dei lavoratori preferisce essere presente in ufficio, con una percentuale più bassa (17,9%).
Questa distribuzione settimanale, commenta Andrea Fioni, senior expert del Centro Studi di Assolombarda, può rappresentare un’utile base per pianificare la mobilità urbana. Riducendo il pendolarismo nei giorni critici, si potrebbero alleviare problemi come la congestione del traffico e l’inquinamento da polveri sottili, oltre a migliorare l’efficienza del trasporto pubblico, spesso afflitto dalla carenza di autisti.
Milano e il Nord Italia come aree trainanti
I dati del report mostrano una concentrazione significativa dello smart working nelle province di Milano, Monza, Lodi e Pavia, dove la percentuale di lavoratori che adotta questa modalità arriva al 16%, rispetto all’11,6% del resto del Nord Italia. La Città Metropolitana di Milano si distingue con un 16,7%, che sale al 17,6% nel capoluogo, contro il 14,8% dell’hinterland.
Le aziende di questo territorio, soprattutto quelle del terziario avanzato e delle grandi imprese multinazionali, guidano la trasformazione, grazie a una maggiore apertura all’innovazione e all’adozione di tecnologie avanzate per la gestione delle risorse umane. La base associativa di Confindustria Lombardia, che riunisce imprese altamente innovative, mostra percentuali elevate di adozione dello smart working, con punte del 37% nelle province di Milano, Monza, Lodi e Pavia, rispetto al 26% medio del Nord.
Diffusione tra millennials e crollo tra i giovanissimi
Un altro elemento interessante riguarda l’analisi generazionale. La quota di smart worker cresce al diminuire dell’età fino ai millennial (nati prima del 1996), ma cala drasticamente tra i lavoratori della Generazione Z (under 27), che rappresentano solo il 4%. Questo fenomeno riflette due fattori principali:
- Settori di impiego: i giovani sono spesso occupati in mansioni o settori meno compatibili con il lavoro a distanza.
- Fase iniziale della carriera: per molti neoassunti, la presenza in ufficio è cruciale per l’apprendimento e l’integrazione aziendale.
Un appunto metodologico: lo smart working non è solo lavoro da remoto
Un aspetto critico dell’analisi è l’uso del termine "smart worker" ancora inteso come sinonimo di lavoratore da remoto. Questa riduzione semantica, come da tempo sottolineato da Smart Working Magazine, rischia di banalizzare un concetto più ampio, che include flessibilità oraria, autonomia decisionale e una cultura organizzativa basata sui risultati. Confondere smart working con telelavoro significa trascurare il potenziale di trasformazione che questa modalità potrebbe portare sia nelle imprese sia nella società.
Un’anticipazione della settimana corta?
La concentrazione del lavoro da remoto verso la fine della settimana offre un altro spunto di riflessione. Questo fenomeno sembra suggerire una tendenza implicita verso la settimana corta, in cui il venerdì da casa diventa un momento di transizione verso il weekend. Anche se non esplicitata formalmente, questa prassi potrebbe riflettere un cambiamento nelle aspettative e nei bisogni dei lavoratori, ma pone una sfida in termini di fiducia: i risultati aziendali possono risentirne se il lavoro da remoto non è percepito come una forma di flessibilità quale dovrebbe essere.
Al contrario, quando gestita efficacemente, questa modalità potrebbe rappresentare una risposta innovativa alla domanda di equilibrio tra vita privata e lavoro, senza compromettere produttività e impegno.
Un nuovo modello di organizzazione del lavoro
I dati del report di Assolombarda e Zucchetti offrono una visione chiara di come lo smart working, anche nelle sue forme più limitate al lavoro da remoto, stia già influenzando le dinamiche aziendali e urbane. Tuttavia, per sfruttarne appieno le potenzialità, è necessario superare la visione riduttiva di smart working come sinonimo di telelavoro.
L’apparente anticipazione della settimana corta, unita ai benefici per la mobilità e la sostenibilità, potrebbe trasformare lo smart working in un elemento centrale di un nuovo modello di lavoro, capace di migliorare non solo la produttività aziendale, ma anche la qualità della vita dei lavoratori e la vivibilità delle città.
Una transizione culturale e organizzativa più profonda, basata su fiducia, autonomia e risultati, sarà cruciale per garantire che questa modalità non solo si consolidi, ma diventi uno strumento strategico per il futuro del lavoro.