Nelle ultime settimane, la nostra redazione ha ricevuto numerose segnalazioni da parte di candidati alla ricerca di un nuovo impiego che si trovano ad affrontare una realtà preoccupante: ciò che viene promesso negli annunci di lavoro spesso non corrisponde a quanto effettivamente proposto durante il colloquio. Il problema ricorrente riguarda soprattutto le offerte di lavoro che promettono la possibilità di lavorare da remoto, ma che, al momento dell’incontro con il recruiter, si rivelano completamente diverse.
La trappola del lavoro da remoto.
Con l’aumento delle offerte di lavoro ibrido e da remoto su piattaforme come LinkedIn, i candidati possono ora filtrare le posizioni in base a questa caratteristica. Sembra una soluzione ideale per chi desidera conciliare carriera e vita privata, soprattutto dopo la pandemia, che ha spinto molti a rivalutare le proprie priorità. Fin qui tutto normale. Tuttavia, quello che emerge dalle testimonianze che riceviamo è che molti candidati, dopo aver risposto ad annunci specifici per ruoli da remoto, si trovano di fronte a una realtà ben diversa.
Durante il colloquio, alla fatidica domanda “Quindi posso lavorare da remoto?”, la risposta è spesso la stessa: “No, l’azienda preferisce il lavoro in sede”. Questa dissonanza tra l’annuncio e la realtà sta creando non solo confusione, ma anche frustrazione tra i candidati, e il problema sembra sempre più diffuso. La motivazione dietro questa pratica? I recruiter, per ricevere un maggior numero di candidature, inseriscono “lavoro da remoto” negli annunci per attirare più attenzione, ma non hanno realmente intenzione di offrire questa possibilità.
Le conseguenze di promesse non mantenute.
Questa tecnica di recruitment, apparentemente innocua, ha in realtà conseguenze molto più gravi, che maturano nel tempo. Il primo effetto è la creazione di aspettative irrealistiche nei candidati. Molti di coloro che cercano ruoli da remoto o ibridi lo fanno per ragioni precise: la necessità di un migliore equilibrio tra vita personale e lavoro, il desiderio di evitare lunghi spostamenti o semplicemente perché hanno scoperto che lavorano meglio in modalità flessibile.
Quando queste aspettative vengono disattese durante il colloquio, i candidati non solo si sentono traditi, ma anche demotivati. Il messaggio implicito che ricevono è che il lavoro flessibile, tanto decantato come nuova normalità, è in realtà più raro di quanto sembri. Questa disillusione porta a una perdita di fiducia nel processo di selezione e, in molti casi, alla rinuncia alla ricerca di un impiego in grado di soddisfare le proprie necessità.
D’altro canto, anche le aziende finiscono per subire le conseguenze di questo comportamento. Presentarsi come realtà flessibili e aperte al lavoro da remoto, per poi imporre il lavoro in sede, può portare all’ingresso di nuovi lavoratori già demotivati. I candidati, una volta scoperta la verità, potrebbero accettare l’offerta solo per lasciare il posto dopo poco tempo, a causa di un disallineamento con le proprie aspettative. Questo turnover aumenta i costi di selezione e formazione per le imprese, con il rischio di danneggiare anche la loro reputazione.
Annunci di lavoro standardizzati: un problema diffuso.
Un ulteriore problema che emerge da queste segnalazioni riguarda la standardizzazione degli annunci di lavoro. Le descrizioni delle offerte sembrano essere sempre più simili: “ambiente giovane e dinamico”, “flessibilità”, “opportunità di crescita”. Ma cosa si nasconde dietro queste parole generiche? Molte volte, queste frasi servono solo a rendere l’annuncio più attraente, senza riflettere la vera natura dell’azienda o delle condizioni lavorative.
Questo approccio porta a una disconnessione tra le aspettative del candidato e la realtà del posto di lavoro, creando un circolo vizioso che mina la fiducia reciproca. Per evitare questo, le aziende devono fare un passo indietro e concentrarsi sulla trasparenza. Raccontare esattamente chi sono, quali sono le loro offerte reali e che tipo di ambiente di lavoro offrono, anche a costo di ricevere meno candidature, alla lunga risulta vincente. Solo in questo modo si potranno attirare candidati realmente allineati con la filosofia aziendale e motivati a contribuire al successo dell’impresa.
Il valore della trasparenza nelle offerte di lavoro.
I dati parlano chiaro. Secondo uno studio di Glassdoor, il 91% dei candidati considera la trasparenza una delle caratteristiche principali di un buon processo di recruitment. Non è solo questione di onestà: un annuncio che riflette chiaramente ciò che l’azienda può offrire permette di attrarre candidati più qualificati e motivati. Al contrario, le promesse non mantenute possono generare insoddisfazione e un turnover elevato.
Anche un’indagine di Gartner del 2023 ha evidenziato come il 75% dei dipendenti affermi che lavorare in un’azienda che valorizza la trasparenza e il rispetto delle aspettative sia uno dei fattori determinanti per rimanere in azienda a lungo termine.
Le aziende che sapranno fare della chiarezza e della trasparenza un valore centrale nella loro strategia di selezione avranno un vantaggio competitivo. Non solo attrarranno candidati più in linea con i loro valori, ma costruiranno un team più solido e motivato nel lungo periodo.