Il mondo accademico e politico ha espresso ieri il cordoglio per la morte del prof. Domenico De Masi, illustre sociologo del lavoro e noto al grande pubblico per il contributo che aveva dato alla stesura della legge istituiva del "Reddito di cittadinanza", provvedimento bandiera del primo governo di Giuseppe Conte. Il fondatore del MoVimento 5 Stelle Beppe Grillo nel suo messaggio, ricordando il professore, lo ha identificato come «punto di riferimento per l’intera comunità scientifica. Ha insegnato che al centro di tutto c’è l’essere umano con la sua irrinunciabile dignità».
Il ministro Adolfo Urso, lo ha ricordato come colui che «non spegneva mai le ragioni altrui, non conosceva la faziosità».
Ma se l'accostamento alla teorizzazione del Reddito di Cittadinanza è stata l'etichetta sovente scelta dai media, in particolare i Tg della RAI, è giusto ricordare De Masi per essere stato un brillante pensatore, studente a Parigi alla vigilia dello scoppio del '68, accademico e finissimo osservatore dei cambiamenti del mondo del lavoro.
Proprio lui era stato uno dei primi a rendersi conto della portata rivoluzionaria che avrebbe comportato lo smart working nelle abitudini dei lavoratori.
Professore emerito di Sociologia del lavoro, presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", De Masi è scomparso sabato 9 settembre all'età di 85 anni. Il suo interesse era rivolto principalmente alle trasformazioni del lavoro e alle organizzazioni, alla società postindustriale, allo sviluppo e al sottosviluppo, ai sistemi urbani, alla creatività, al tempo libero, ai metodi e alle tecniche della ricerca sociale.
Noto anche all'estero, ad esempio in Brasile viene considerato un intellettuale di riferimento dal Partido dos Trabalhadores e dallo stesso presidente Ignacio Lula.
Per quanto ci riguarda, il nome di De Masi è indissolubilmente legato a un testo fondamentale del 2020, "Smart working. La rivoluzione del lavoro intelligente", edito da Marsilio, dato che prima di molti il professore aveva colto l'inizio di un processo destinato a rivoluzionare non solo il tempo e il luogo del lavoro, ma il suo significato, il suo contenuto e il suo ruolo.
«Come il passaggio dalle botteghe alle fabbriche richiese alcuni decenni, così quello dall'ufficio allo "smart working" sta facendo il suo cammino. La pandemia ha inaspettatamente accelerato questo processo che proseguiva con lentezza a causa di un ritardo culturale di aziende e pubbliche amministrazioni. Tuttora molti si affannano a correre da una parte all'altra perché i ritmi della catena di montaggio tardano a dileguarsi, ma lo "smart working" arriva al momento giusto per facilitare la loro liberazione.»
Buon viaggio, professore.
Foto © Giornale del Cilento, IBS, L’incontro.