In questi anni abbiamo cercato di "evangelizzare" una nuova cultura del lavoro parlando di lavoro agile, flexible working, tecnologia e nomadismo digitale. Ma non ci siamo dimenticati che accanto allo smart working c'è anche una "workforce" e distretti industriali. Soprattutto, stavolta, è necessario ricordare che nel nostro paese c'è un dato che non è da paese civile, quello delle morti bianche.
L’Italia ha nel primo articolo della sua Costituzione un assunto solenne, ovvero quello di essere una Repubblica fondata sul lavoro. Eppure, in questa repubblica muoiono mediamente due persone al giorno sul luogo di lavoro.
Nel 2020, anno segnato dalla pandemia, sono stati 63 le morti bianche, 8 a Prato, ovvero uno dei due distretti toscani con più casi fatali insieme a quello del marmo di Carrara. L’ultimo decesso ha avuto un risalto mediatico e per alcuni giorni ha messo in coda le notizie su Covid-19 e vaccinazioni. Perché Luana D’Orazio era giovane e bella e madre di un bambino di 5 anni, una storia che mediaticamente colpisce l’opinione pubblica. Ma se Luana aveva 22 anni, ne aveva 23 Sabri Jaballah, l’operaio tunisino morto a febbraio sempre nel distretto tessile.
Sono due morti inaccettabili, ma tutte le morti sul lavoro sono inaccettabili, qualunque sia l’età. Com’è possibile che nel 2021 in Italia si muoia schiacciati da un tornio, una trave o un orditoio come cinquant’anni fa?
Il caso di Prato: un distretto che fu un impero ma oggi è segnato da una profonda crisi di sistema.
Prato è stata una capitale del tessuto a livello mondiale, cinquant’anni fa i “cinesi” era proprio i pratesi, una ricchezza costruita sulla lavorazione del “cardato”, che ha segnato la vita di molte persone, nel bene e nel male: un impero fondato sulla lana rigenerata. Il telaio dava ricchezza, benessere ma anche infortuni sul lavoro. Per rendere l'idea ai non pratesi, in un mitico film di Francesco Nuti, ovvero Madonna che silenzio c’è stasera, a un certo punto vengono mostrati dei lavoratori senza dita, la perdita delle falangi come tratto fisiognomico della carriera dei tessitori. Purtroppo in troppi hanno perso la vita oltre che mani e dita in questi macchinari. Tipo l’orditoio che si è ingoiato e ha stritolato Luana D’Orazio.
Quindi, alla domanda sul perché in Italia si muore sul lavoro come cinquant’anni fa, la risposta è perché senza cultura della prevenzione, investimenti, formazione e controlli dell’ispettorato, la tecnologia da sola non aiuta. Ma la sicurezza è un problema a valle e non a monte.
A monte c’è infatti il declino di un sistema economico e dei diritti del lavoro, precarizzazione e la dicotomia di un settore che vede la maison dell’alta moda fare profitti stratosferici e miriade di piccole ditte che lavorano conto terzi con un margine sempre più basso di profitto.
In questo gioco al ribasso ne risentono le attività più piccole, dove spesso il padrone lavora a fianco dei suoi operai con le solite mansioni.
Poi c’è la scarsa cultura della sicurezza e macchinari che hanno fatto il loro tempo- non ci sono i margini per investire in nuove - hanno protezioni rimosse o può capitare la fatalità di una fotocellula che non entra in funzione quando dovrebbe.
lo Stato dovrebbe mettere per l'INAIL nelle condizioni di fare più ispezioni.
Sul distretto tessile, che comprende anche aziende di alcuni confinanti comuni pistoiesi, ci sono solo 48 ispettori del lavoro. Forse sono anche meno, per un distretto tra i più industrializzati a livello nazionale, con oltre 30 mila aziende. Quindi, basta questo dato per comprendere come non sia incredibile che in Italia su 3 milioni 300 mila aziende censite ci siano mediamente solo 15 mila ispezioni l’anno.
In pratica, l’INAIL non ha risorse e personale sufficiente per operare dignitosamente, un problema a cui faceva riferimento Matteo Biffoni, il sindaco di Prato, quando ha detto che aziende e lavoratori sono stati lasciati soli. E questo nonostante l’Italia con il D.Lgs 81/2008 abbia una delle normative più avanzate in materia di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro. “C’è bisogno di più personale all’ INAIL e nelle ASL di tutto il Paese, dove ci sono forti carenze negli uffici dedicati ai controlli” ha detto il ministro Andrea Orlando.
Il problema delle morti bianche è quindi complesso e intreccia questioni economiche, culturali e sociali. Non lo risolveremo in qualche giorno, forse la situazione migliorerà se dopo la strage del Covid-19 diventerà una priorità, ma per Luana, Sabri e tutti gli altri sarà sempre troppo vergognosamente tardi.
Foto: Francesco Sani