Amazon è la più grande azienda privata del mondo con migliaia di dipendenti tra Stati Uniti ed Europa. Ma Amazon è essenzialmente il simbolo del giga-capitalismo contemporaneo.
La multinazionale di Jeff Bezos (diventato negli ultimi anni l'uomo più ricco del mondo) spende più di ogni altra azienda del pianeta in sviluppo tecnologico e ha un ruolo politico che si manifesta in due direttrici: controllo monopolistico delle vendite online e influenza sulle politiche del lavoro.
Allo stesso tempo, a fronte dell'ondata di licenziamenti nelle Big Tech e le pratiche antisindacali denunciate, i lavoratori di Amazon si stanno oggi organizzando per essere un'avanguardia nelle lotte contro queste cattive pratiche del capitalismo digitale.
Quando parliamo di Amazon parliamo di un modello della gig economy dove la tecnologia è anche pratica di sorveglianza dei lavoratori. Una tecnologia in questo caso nata per organizzare il lavoro ma che poi viene utilizzata dal management per un dubbio controllo della produttività dei dipendenti. Ad esempio lo scanner, che serve ad individuare le merci sugli scaffali, calcola pure i ritmi di lavoro. Il software impiegato per monitorare il rispetto delle distanze di sicurezza dei magazzinieri, durante la fase più acuta della pandemia Sars-CoV-2, è stato poi sfruttato per osservare da remoto i movimenti delle persone all'interno dei depositi.
La gig economy ha creato quindi una digital working class e il compito delle politiche del lavoro dei governi sarà quello di impedire che l'impiego degli algoritmi debordi in ogni settore, benché tali pratiche si siano estese a ogni ambito della vita sociale che contempla l'uso di tecnologie digitali.
La grande sfida del future of work necessita l'assunzione da parte degli anti-trust di uno stretto controllo sul "modello Amazon".
cover photo: Make Amazon Pay Org.