In principio furono un manipolo di ribelli dipendenti di Apple. Quando a giugno, con il termine dell’emergenza sanitaria negli USA, a Cupertino hanno richiamato i collaboratori in ufficio, un gruppo di dipendenti ha scritto una lettera a Tim Cook: se ci togli lo smart working noi ci licenziamo!
“Over the last year we often felt not just unheard, but at times actively ignored” … La missiva recitava. E ancora:
“[…] vorremmo cogliere l'occasione per comunicare una preoccupazione crescente tra i nostri colleghi. La politica di Apple sul lavoro flessibile in remoto e la comunicazione intorno ad essa, hanno già costretto alcuni dei nostri colleghi a smettere. Senza l’inclusività che la flessibilità porta, molti di noi sentono di dover scegliere tra combinare le nostre famiglie, il nostro benessere e l’essere autorizzati a fare il nostro lavoro migliore, o far parte di Apple”.
Il sondaggio di Bloomberg News.
Può sembrare un caso isolato - anche perché chi ha nel curriculum un’esperienza a Apple non dovrebbe aver bisogno di penare molto per trovare un nuovo lavoro nell’high tech, siamo in California… - ma non è proprio così.
Bloomberg a maggio ha intervistato diversi lavoratori che hanno detto addio al vecchio lavoro una volta messi di fronte all’imperativo di lasciare lo smart working e tornare alla scrivania.
Oggi, negli Stati Uniti, da quel sondaggio su un campione di 1000 adulti emerge che il 39% ha affermato di considerare il licenziamento se i capi non saranno flessibili sullo smart working.
C’è una differenza generazionale rilevata: la percentuale è più alta tra i Millennials e la Generazione Z, ben il 49% (evidentemente in quella fascia d’età c’è meno pressione dal dover portare lo stipendio a casa, ma il dato è significativo perché il mercato del lavoro si sta “europeizzando” anche negli iper flessibili States, cioè non è così facile trovare un nuovo impiego).
Ad ogni modo, registriamo il fatto: molti dipendenti sonopronti a far valere i diritti della nuova normalità, quella dello smart working e lontana dai ritmi frenetici dell’era pre-pandemia SarsCoV2, fino al sacrificio della carriera.
Haus Bartleby.
Eppure preferire il benessere alla carriera è qualcosa che è stato teorizzato già da noi in Europa, in Germania per l’appunto. Nel 2014 Alix Faßmann decise di abbandonare il suo lavoro di addetta stampa per la SPD (il Partito Socialdemocratico tedesco) e di intraprendere un viaggio in Italia.
Durante il suo soggiorno sabbatico in Sicilia incontrò Anselm Lenz, autore teatrale presso l’Hamburger Spielhaus che, stanco a sua volta di sacrificare il tempo sull’altare della carriera, si era pure licenziato ed aveva lasciato Amburgo.
Lenz, affascinato dalle idee della Faßmann, la convinse a raccoglierle in un libro: “Il lavoro non è la nostra vita: guida al rifiuto della carriera”.
Il testo, Arbeit ist nicht unser Leben, edito da Lübbe nel 2015, è una sorta di manifesto programmatico che ha portato i due alla fondazione a Berlino di Haus Bartleby, ovvero “centro per il rifiuto della carriera”. Questo zentrum deve il suo nome a un romanzo di Herman Melville, Bartleby lo scrivano, il cui protagonista lavora presso uno studio legale di Wall Street ma un giorno, dopo un periodo di attività intensissima, si rifiuta di continuare la sua mansione pronunciando la frase “I would prefer not to”, che è appunto lo slogan dell’associazione berlinese.
Haus Bartleby ha prodotto pubblicazioni che hanno destato molto interesse in Germania e organizzato una serie di conferenze sul futuro del lavoro con ospiti illustri, tra i quali l’economista ed ex Ministro delle Finanze greco Yannis Varoufakis o il celebre filosofo sloveno Slavoj Žižek.
Ovviamente l’impostazione critica è di stampo marxista: a chi serviamo quando ci dedichiamo alla promessa della carriera?
«Non a noi stessi – sostiene la Faßmann - se il nostro lavoro è determinato soltanto dalla necessità economica di portare a casa uno stipendio o dalla pressione sociale che ci impone di raggiungere una posizione adeguata alle aspettative nostre o di chi ci circonda. Ma nemmeno agli altri e al mondo, se il risultato di tanti processi produttivi – materiali o intellettuali – è soltanto aria fritta».
Tra il rifiuto della carriera e 40 ore settimanali di alienazione, lo smart working è la sintesi?