Estremizzando, nel vecchio schema di “leadership verticale” al centro dell’organizzazione c’era soprattutto la prestazione, ed i processi erano fortemente orientati al raggiungimento degli obiettivi “per via diretta”: produzione efficiente garantita da una leadership di controllo, il più delle volte iper-specializzata, che fungeva da garanzia. Il capo era spesso quello che ne sapeva di più, che aveva quasi sempre la soluzione in tasca! Decisioni centralizzate sui vertici, gerarchie da rispettare, controlli rigidi, monitoraggio dei tornelli, orari poco flessibili, pause regolate, timbrature obbligatorie addirittura all’inizio e alla fine della pausa pranzo…
E direttori intenti a contare le persone alle macchinette del caffè o a fare visite a sorpresa negli open space alle 18.00 per vedere quanti (e quali) si trattengono oltre il normale orario di lavoro. Alla pensione ci si arrivava certe volte con tachicardie, insonnia, gastriti, coliti, ecc. E il brutto è che ci avevamo fatto l’abitudine. Ecco, in quel clima di sfiducia e rigidità “a prescindere”, sottoposti a quel tipo di stress, le persone avrebbero mai potuto esprimere appieno tutto il loro potenziale? In quel modello non c’era benessere… Mi verrebbe da dire che eravamo infelici e non lo sapevamo!
La rivoluzione tecnologica rimette la persona al centro delle strategie aziendali.
Ma il mondo del lavoro è in continua trasformazione. E così, grazie soprattutto alle tecnologie digitali e all’intelligenza artificiale, siamo ora testimoni di un fenomeno straordinario: le operations vengono automatizzate e i compiti più noiosi, meccanici e ripetitivi affidati via via agli algoritmi e alle macchine. La persona – con il suo inestimabile patrimonio cognitivo ed emozionale – si riappropria prepotentemente del posto che gli spetta, al centro delle strategie aziendali. E le aziende hanno capito finalmente che il benessere delle persone è un fattore di competitività imprescindibile e che solo le organizzazioni positive possono affrontare con fiducia i grandi cambiamenti che ci apprestiamo a vivere. L’emergenza pandemica poi non poteva che imprimere una poderosa accelerazione a questo affascinante processo di cambiamento.
Ovviamente, i vecchi modelli di leadership non sono adatti a gestire la complessità di questa nostra epoca, una complessità che ha bisogno di più saperi per essere ben compresa e governata. C’è perciò urgente bisogno di sostenere una leadership completamente diversa, più diffusa ed “orizzontale”, maggiormente empatica e relazionale. Il nuovo leader è quello che, all’interno di organizzazioni più “fluide”, responsabilizza tutte le persone del team ed innesca il circolo virtuoso della fiducia. Non è più necessariamente quello che “ne sa di più” e che ha sempre la risposta giusta, bensì piuttosto ha l’umiltà e la gentilezza di mettersi a disposizione degli altri, veicolando una cultura di positività e di ottimismo responsabile. Incentiva la “cross-contamination”, la pluralità di prospettive e il rispetto di tutte le identità.
Transizione e generazione del benessere.
In questa grande sfida abbiamo, a mio avviso, delle grandissime opportunità. Ne cito due, tra le tante, apparentemente scollegate. La prima ha a che fare con la transizione da gestire perché in molte aziende l’organizzazione è ancora fortemente condizionata da una vecchia cultura del lavoro dove il benessere, nella sua accezione più ampia, non è posto al centro dell’agenda. E non è possibile fare switch premendo un pulsante: quando si ha a che fare con le persone ed i loro sentimenti, l’approccio ON/OFF non funziona mai! Le persone sono chiamate a realizzare una trasformazione a dir poco epocale, di conseguenza devono trasformare sé stesse per sostenere questo cambiamento e le imprese hanno la responsabilità primaria di accompagnarle, di dare le giuste sollecitazioni e di fornire gli strumenti più idonei. In questo complesso processo ri-generativo e “trasformazionale”, la formazione si configura come un processo cruciale nella creazione del benessere, un asset super-strategico. Questa opportunità farà muovere a mio avviso grandi investimenti finanziari, organizzativi, professionali.
La seconda grande opportunità è legata alla necessità di implementare nelle aziende dei modelli di gestione che rendano strutturale il processo di generazione del benessere. Va sottolineato infatti che il benessere non è il risultato statico della somministrazione di una procedura, o di un corso, di un servizio, di un benefit. Va inteso piuttosto come la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere una condizione positiva per chi ci lavora, perciò le persone vanno sostenute in un percorso continuo di sviluppo e ricerca attiva. In questa visione “circolare” del benessere, la misurazione gioca a mio avviso un ruolo fondamentale. Il benessere infatti non solo è implementabile, ma è anche riconoscibile e quindi misurabile. Nel tempo abbiamo imparato a sviluppare sofisticate analisi di clima attraverso il coinvolgimento delle persone, con l'utilizzo di strumenti come questionari, interviste, indagini campionarie, focus-group, ecc.
Ma il benessere non può essere fotografato una volta ogni tanto. Dobbiamo sforzarci di integrare questi strumenti in un sistema più ampio e complesso di comprensione dei fenomeni, attraverso una selezione rigorosa degli indicatori (livello motivazionale, teamworking, execution, fiducia, proattività, worklife balance, consapevolezza, qualità delle relazioni, reazione ai cambiamenti, ecc.), imparando a mettere insieme le informazioni in modo logico, e soprattutto non facendoci spaventare dalla tecnologia e dalle opportunità che essa può offrirci anche in questo campo.
Misurare i fenomeni sociali in azienda in modo rapido e nuovo.
La tecnologia infatti può esser messa al servizio del benessere e rivelarsi come un eccellente alleato, non solo nelle fasi di osservazione ma anche nell’agire ed anticipare. Nell’ambito delle People Analytics, per esempio, si stanno facendo strada strumenti come la Sentiment Analysis che, partendo da concetti di “data driven diagnosis”, può trovare applicazione nella rilevazione tempestiva degli stati d’animo e della salute di una rete di relazioni in uno dei tanti touch-point partecipativi dell’azienda. La intranet per esempio – che si sta facendo sempre più social e veicolo di una comunicazione sempre più bilaterale, esperienziale e partecipativa – potrebbe essere un ottimo campo di sperimentazione in questo senso. La capacità di una organizzazione di promuovere e mantenere un alto grado di benessere passa soprattutto dalla capacità di misurare i fenomeni sociali in modo rapido e nuovo. Investire in questo tipo di tecnologie potrà avere un ROI estremamente alto in termini di miglioramento generale dell’atmosfera, riduzione dei conflitti, aumento della produttività, miglioramento della reputazione dell’azienda, ecc. D’altro canto, escludere il benessere dall’agenda strategica aziendale di sicuro comporta rischi di costo enormi!
Viene spontaneo chiudere queste brevi riflessioni con una citazione che è un po’ la sintesi di tutto. Da un brano di T. H. White: “Il rimedio migliore quando si è tristi - replicò Merlino, cominciando ad aspirare e a mandar fuori boccate di fumo - è imparare qualcosa. È l'unico che sia sempre efficace! … È l'unica cosa che la mente non riesce mai ad esaurire, da cui non si lascia mai torturare, che mai teme o di cui mai diffida, di cui mai si pente. Imparare è il rimedio per te".
*Fausto Sabbatelli, dopo un percorso di crescita nelle TELCO, nel 2007 approda nelle Risorse Umane di WINDTRE dove supporta lo sviluppo dei progetti legati all’innovazione e trasformazione nei processi di gestione delle persone. Founder del gruppo “Compagnia del Buonumore Aziendale” su LinkedIn.