Lunedì 25 settembre si è chiusa la Settimana della Moda di Milano, è dunque il momento giusto per una riflessione sulle connessioni tra la moda e il mondo del lavoro. Esistono look che da tempo fanno parte dell’immaginario collettivo, dalle divise verdi delle hostess di Alitalia - disegnate dai migliori stilisti, da Giorgio Armani a Ettore Bilotta - al total look marrone dei corrieri UPS. Senza contare le divise della pubblica sicurezza, del personale medico o dei metalmeccanici…
Poi c'è il workwear “spinto” che incontra la moda, con le creazioni sperimentate da FIAT, Carhartt e Caterpillar. Il risultato, esteticamente, è a mio giudizio (da immancabile inviato a Pitti Uomo) trascurabile, al di là dell'operazione commerciale di successo in sé. Carlo Antonelli sulle pagine del quotidiano Domani, "il futuro del workwear è una lotta di classe fashion", riporta una dichiarazione del direttore del Nieuwe Instituut di Rotterdam Aric Chen: <<il workwear solleva domande e risposte intorno a profonde questioni di classe e conseguentemente di equità, rivelando al contempo la bellezza, l'ingenuità e la creatività che si possono trovare dentro il comparto dell'utile>>. Insomma, la moda degli abiti da lavoro implica un ripensamento del concetto classico di vestire e permette di vedere un punto differente, con al centro l'equità.
In tempi di scioperi massivi - dalla California degli sceneggiatori di Hollywood al Michigan della General Motors, passando per l'Italia del trasporto pubblico e il Regno Unito del personale sanitario - il workwear è la versione aggiornata dell'unità decantata dal celebre slogan della Prima Internazionale "lavoratori di tutto il mondo unitevi"?
Non credo, ad ogni modo, ricordatevi, per un colloquio di lavoro consiglio vivamente di andare con la classica camicia stirata!