La festa del 1° maggio viene da lontano, quando alla fine dell'Ottocento la giornata lavorativa era ancora di oltre dieci ore e nessun tipo di tutela era prevista. Poi negli Stati Uniti d'America il grido di battaglia divenne <<8 ore di lavoro, 8 ore per dormire e 8 ore di svago>> e effettivamente il 1° maggio 1867, nell'Illinois, entrò in vigore la legge che fissava a 8 ore la giornata lavorativa.
Nel 1° maggio 1886 in 12.000 fabbriche USA i lavoratori incrociarono le braccia e 400.000 scesero in piazza a protestare per migliori condizioni, ben 80.000 nella sola Chicago. Ci furono scontri tra i manifestanti e la polizia, scoppiò una bomba per la quale furono accusati e condannati a morte 7 militanti anarchici. Qualche anno più tardi, nel 1890, l'Associazione Internazionale dei Lavoratori scelse il 1° maggio come data simbolica a livello mondiale per "la festa dei lavoratori" in memoria dei fatti di Chicago, invitando tutti a partecipare alla celebrazione.
In Italia, nonostante le resistenze del governo Crispi che vietò manifestazioni - come nel resto del mondo, peraltro - i lavoratori lasciarono il lavoro per dimostrare ai padroni che, nonostante la distanza e le differenze culturali, erano in grado di organizzarsi per rivendicare i loro diritti. Le manifestazioni del 1° maggio 1890 furono un successo in tutto il mondo. Il pittore Giuseppe Pellizza, ispirato dalle proteste operaie, realizzerà il celebre quadro "Il Quarto stato".
Oggi il "Labour's Day" continua a essere festeggiato in tanti paesi del mondo (anche se in USA, curiosamente, non si fa festa oggi). Ma abbiamo ancora da festeggiare? Le condizioni sono ben diverse, i proletari di Charles Dickens e le fabbriche tessili di Manchester sono solo nei libri di storia, così come è cambiata la working class americana e la vita dei contadini siciliani.
Eppure l'Italia è uno dei paesi con il tasso di occupazione tra i più bassi dell'area OCSE. Critica è la condizione femminile, al Meridione addirittura lavora solo una donna su tre. Senza parlare del lavoro nero, con un'area di illegalità vasta, con punte scandalose nell'agricoltura dove il capolarato e lo sfruttamento caratterizzano importanti aree agricole del Sud, dalla Puglia all'Agro Pontino, passando per la Calabria. La "mafia del foggiano" ha basato proprio sullo sfruttamento dei lavoratori agricoli la sua temibile forza.
Quindi la questione lavoro è ancora attuale, con tutte le sue nuove forme, criticità e sfide. Abbiamo ottenuto le "8 ore", viviamo in epoca di smart working e Grandi Dimissioni, ricerca di worklife balance e molti godono di forme di welfare aziendale impensabili anche solo in un recente passato. Eppure la precarietà dilaga ancora, la maggior parte dei contratti in essere in Europa nel 2023 è a termine. Il lavoro è stato segnato dalla pandemia, condizionato da un algoritmo, sostituito (forse) da un'intelligenza artificiale o semplicemente spostato da un paese a un altro, magari più povero.
La precarietà è perfettamente legale, i contratti stabili sono utopia, lo stress aumenta, la fuga dei cervelli. Solo in Italia si calcola che un milione di giovani talenti si siano trasferiti all'estero.
Viene da chiedersi se il lavoro è ancora il metro per giudicare la nostra realizzazione? E quindi di conseguenza, ha ancora senso festeggiare il 1° maggio? Nel frattempo, "buona festa dei lavoratori""!
Questo editoriale è stato firmato dal direttore del magazine Francesco Sani e dall'editore Samuel Lo Gioco.