Intervista all’Ing. Marco Lassini, operation manager di Stantec
Il tema della Sicurezza nei luoghi del lavoro è argomento storicamente “caldo” in Italia, il nostro è un paese con inaccettabili carenze spesso anche per cattiva cultura della prevenzione. Ma la riapertura dei siti produttivi e dei cantieri impone un’attenzione tutta nuova stavolta, così ne abbiamo parlato con una figura esperta in materia. Marco Lassini è operation manager della divisione manufacturing in Stantec.
La multinazionale canadese di consulenza e progettazione ingegneristica ed architettonica è leader mondiale nei settori delle infrastrutture, energia, acqua, ambiente e sostenibilità. In Stantec da oltre dieci anni - lavorando in vari paesi quali Inghilterra, Cipro o Turchia - dal 2011 si occupa di progetti oil & gas e manufacturing, in particolare la gestione delle manutenzioni, nonché processi di dismissioni, riqualificazioni e bonifiche.
Marco, vorrei iniziare chiedendole quali sono le criticità per quello che riguarda la Fase 2 nei cantieri e siti produttivi?
Ritengo che la cosiddetta Fase 2 si possa considerare come il consolidamento di azioni prese in maniera repentina appena è emersa l’emergenza sanitaria. Adesso c’è la possibilità di testare l’efficacia delle misure messe in atto nei primi mesi. In termini di sicurezza nei cantieri, per quelli che erano rimasti sempre aperti, le precauzioni stabilite per i nostri clienti adesso devono essere perfezionate.
Mi spiego, a cose ordinarie, chi lavora in un’area di cantiere – che già di per sé è pericolosa - deve essere concentrato sulla sua mansione e valutare il rischio di incidenti, ma fuori quell’area è al sicuro. Con la pandemia da Covid-19 non c’è più uno spazio comune e/o esterno al cantiere dove essere al sicuro e potersi rilassare. Lo sforzo è quindi quello di redistribuire le aree e modalità di lavoro in maniera tale che le persone non abbiano troppo stress aggiuntivo a quello legato ai rischi che normalmente hanno.
A proposito, qui emerge il nuovo rischio biologico da valutare per tutte le aziende, leggo che il dipendente positivo al Covid-19 potrebbe considerarsi come “infortunio sul lavoro”.
L’analisi dei rischi spetta al Datore di lavoro e chiaramente questa situazione pone una valutazione aggiuntiva, ovvero un rischio biologico generico e non connesso con l’attività che si stava facendo. Detto ciò, le figure professionali preposte, come ad esempio l’RSPP o il CSE per un cantiere che ottempera al Titolo IV del Testo Unico su Salute e Sicurezza sul Lavoro, nella Fase 2 devono essere i punti di riferimento per implementare le modalità di verifica.
Significa quindi prendere le precauzioni necessarie in primo luogo per eliminare il rischio, tipo far lavorare in smart working il personale che può operare da remoto e, dove non è possibile, mitigarlo con dispositivi di protezione individuali, aree dedicate e percorsi specifici interni ecc.
Crede che l’emergenza sanitaria possa far migliorare l’approccio culturale sull’attenzione alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro?
Credo di sì. Soprattutto la mascherina ha riportato l’attenzione sull’importanza dei dispositivi di protezione individuale in funzione preventiva. Potrebbe in linea generale facilitare la sensibilizzazione e far superare abitudini cattive o non presenti, anche legate a una cultura della sicurezza poco sviluppata.
Al momento è indubbio che il cambiamento è forzato da un fattore che nella sua drammaticità costringe a tracciare nuove abitudini, fra cui una migliore prevenzione. Ma ancora una volta occorre che le buone pratiche siano implementate. Questo inizio è un’opportunità per innescare un processo di miglioramento della cultura della sicurezza, ma va consolidato e guidato nel suo sviluppo non lasciato al caso o alla volontà del singolo lavoratore.
In merito a Stantec, come sta andando la Fase 2, quali criticità avete notato per chi si trova in smart working?
Noi abbiamo un programma di smart working già consolidato (vedi articolo precedente) e dal 23 febbraio lo abbiamo esteso da 3 a 5 i giorni a settimana per tutti. Dal 4 maggio, pur continuando a farlo perché abbiamo gli strumenti e la cultura, se emergesse una necessità possiamo recarci in ufficio in piccoli gruppi autorizzati rispettando i protocolli di sicurezza. Qualche difficoltà è emersa e stiamo raccogliendo i dati con il nostro programma di gestione dello smart working Smafely. Ad esempio, per i progettisti effettuare una semplice stampa su plotter diventa adesso un contrattempo non essere in ufficio.
Chiaramente la situazione è eccezionale a livello generale. Se da una parte questo grande esperimento sociale sta in qualche modo riuscendo, dall’altro non passi il messaggio che il lavoro agile sia immediato e facile da implementare. Quindi è necessaria una grande opera culturale per diffondere lo smart working in Italia come opportunità e non come costrizione. Personalmente, occupandomi soprattutto di gestione di team, sebbene “allenati” ho notato che inizialmente andava re-imparato come lavorare bene in gruppo da remoto.
In questo periodo, credo sia interessante capire come il valore aggiunto dato dal lavorare insieme in ufficio nelle varie situazioni si possa ricreare da remoto trovando nuovi sistemi. Comunicazione e trasparenza è quindi uno dei fattori principali all’interno dei team di lavoro.