Per chi ha visto il film C’è ancora domani di Paola Cortellesi, il pugno nello stomaco è sicuramente stato forte: protagonista è infatti una donna vittima del marito e della società - esemplificativa di quasi tutte le donne del periodo - con poco potere decisionale e scarse, se non inesistenti, aspirazioni nella vita. Ma se la pellicola è ambientata nel 1946, adesso che sono passati quasi 80 anni, la situazione è di gran lunga migliorata, certo, ma non come ci si sarebbe aspettati. L’agognata parità di genere sul lavoro non è stata raggiunta, men che meno per quel che riguarda i profili manageriali di alto livello.
Le donne manager nelle aziende private ci sono, ma non sono ancora così tante. Parliamo dell’Italia, indubbiamente, ma non è che in Europa vada molto meglio. Cerchiamo di capire qual è la situazione attuale e anche perché, nonostante i vari mantra aziendali tra parità di genere, favorire la diversity, l’equità e l’inclusione, la situazione sia sì, leggermente migliorata, ma non davvero risolta. E si sia ancora lontani dal farlo.
Quante sono le donne manager in Italia?
Ad aiutarci a fotografare la situazione utilizziamo due report, uno risalente al marzo del 2023 e l’altro al settembre scorso.
Il primo è il Rapporto Donne ManagerItalia, elaborato appunto da ManagerItalia sui dati Inps relativi al 2021. Dal report emerge che le donne manager crescono e lo fanno di più rispetto agli uomini: +13,5 contro il 3,6% dei colleghi maschi. Si conferma quindi una forte rincorsa verso la parità da parte delle donne dirigenti che, negli anni tra il 2008 e il 2021, sono cresciute del 77%, ma che di fatto sono ancora il 20,5% del totale (che stando ai dati Inps è pari a 474.508). Le donne manager, poi, sono in percentuale molto più presenti nel settore terziario (24,7%) rispetto all’industria (15,1%).
Un fenomeno che, come fa notare ManagerItalia, nel terziario, è dovuto al fatto che le donne hanno più peso nel ricambio generazionale che vede uscire soprattutto manager uomini in fasce d’età più elevate ed entrare più donne in quelle più giovani. Sulla stessa lunghezza d’onda è anche il sondaggio condotto da EY e SWG dal titolo “La leadership al femminile nel mondo del lavoro”, realizzato su un campione di oltre 700 lavoratrici e manager che si sono pronunciate, appunto, sul ruolo delle donne all’interno delle aziende italiane. Dal survey è emerso che nell’ultimo anno è cresciuta del 19% la percezione che la leadership femminile consenta alle imprese di raggiungere meglio gli obiettivi aziendali.
Di contro, rispetto alla rivelazione 2022, è aumentata la percentuale di donne lavoratrici che ritiene che all’interno della propria azienda esista una sperequazione di genere a favore della componente maschile per quanto riguarda opportunità di carriera e stipendi. Tale percezione è salita del 7% e fa il paio con quella relativa allo squilibrio rispetto all’accesso ai ruoli direttivi: lo crede il 50% del campione. Le maggiori barriere per una crescita della leadership femminile rimangono legate alla gestione del doppio ruolo (in famiglia e in azienda) e al poco spazio lasciato alle donne da parte degli uomini.
E in Europa?
Per quanto riguarda l’Europa, i dati più aggiornati che abbiamo sono quelli Istat ed Eurostat che risalgono al 2020 e che dimostrano che nel 2019 solo un terzo (33%) dei manager è costituito da donne. La percentuale non supera il 50% in nessuna nazione degli Stati membri: la quota maggiore è in Lettonia (46 %) e Polonia (43 %), a seguire Svezia e Slovenia (entrambe 40 %) e poi Bulgaria, Lituania e Ungheria (tutti al 39 %). All'opposto, le percentuali più basse si trovano a Cipro (21 %), in Lussemburgo e Croazia (entrambe 26%), Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Danimarca (tutti al 27 %).
Perché non sono tante le donne manager?
La risposta a questa domanda può assumere davvero tantissime sfaccettature. Per esempio, prendendo a riferimento l'articolo pubblicato da Internazionale ai primi di novembre e scritto da Kerstin Bund, in Germania si assiste a una crescita delle donne nei CdA delle aziende Dax 40, ossia delle 40 maggiori imprese quotate in Borsa, ma all’esistenza, ancora, di poche donne manager.
Il lavoro part-time e lo splitting a metà delle spese
Questo, secondo la giornalista, per quel che riguarda la nazione tedesca, è dovuto al fatto che in nessun altro stato europeo ci sono tante donne che fanno un lavoro part-time, il che le ostacola nelle posizioni ai vertici. Nell’articolo, poi, si fa una riflessione interessante: se c’è sperequazione negli stipendi, sarebbe corretto evitare lo splitting degli oneri fiscali per i coniugi, ossia di sommare tutto quello che c’è da pagare e dividerlo per due, ma sarebbe più consono far pagare una quota in base a quello che è l’effettivo guadagno.
Il peso della gestione familiare
Tornando al nostro Paese, sicuramente tra i motivi per cui le donne nei “posti di potere” sono poche c’è sicuramente il peso della gestione della famiglia. Nonostante gli sforzi per la parità di genere, carico mentale e fisico di figli o di nonni e zii da accudire ricade ancora sulle spalle delle donne. E qualora abbiano anche le disponibilità economiche per delegare la gestione della casa o dei figli, c’è sempre il carico organizzativo: è ancora la donna a cercare la baby sitter e a sceglierla, a organizzare le attività dei bambini, a gestire il rapporto con i parenti e così via. Un libro bellissimo che fa capire quanto la questione del carico mentale sia reale e poco affrontata è quello scritto da Annalisa Monfreda, ex direttrice di Donna Moderna, oggi imprenditrice, dal titolo “Ho scritto questo libro invece di divorziare” in cui la giornalista, in pandemia, ha visto crollare le sue certezze e quella organizzazione certosina che funzionava quando tutti erano fuori di casa.
Le donne hanno meno promozioni degli uomini nei primi anni della carriera
Un altro aspetto è l’ostacolo principale che le donne vivono nell’avere una promozione nei primi anni della loro carriera, cosa che succede più facilmente agli uomini e, con il tempo, queste occasioni non aumentano ma vanno diminuendo. Per 100 uomini che accedono ai livelli dirigenziali più alti, secondo la ricerca “Women in the Workplace 2019” condotta da McKinsey & Company e dall’organizzazione Lean In, ci sono solo 72 donne promosse al primo step da manager, con la conseguenza che i posti da loro occupati rappresentano solo il 38% del totale. Le altre donne, che avrebbero curriculum e capacità per accedere a quei livelli dirigenziali, rimangono invece bloccate in posizioni entry-level.
La pressione culturale
Altre motivazioni sono legate all’assenza di servizi welfare, che di fatto si ricollega anche al primo punto, così come a problematiche di natura culturale: ancora oggi non è così diffuso, né così accettato, avere una donna al comando. Questo fa sì che chi vuole occupare posizioni di leadership e abbia tutte le caratteristiche per farlo, deve lottare molto di più di un uomo e non è detto ne abbia sempre la forza, né che riesca davvero a poter scegliere sia la famiglia che la carriera. Al giorno d’oggi, questo è ancora un bivio.