Il topic dell'estate 2023 è il chiacchieratissimo film Barbie di Greta Gerwig, dedicato all’iconico giocattolo della Mattel e interpretato da Margot Robbie. Ottimo weekend di incassi al botteghino al debutto - 2 milioni di euro solo in Italia - e una buona risposta di critica. Purtroppo, il grande successo commerciale si è portato dietro tanto “pink marketing”, su cui si è buttata subito l’industria della moda. Immaginiamo il fast fashion già pronto a inondare il mercato con tessuti sintetici rosa fatti in Asia?
Ma la Barbie ribelle della Gerwig non è proprio quella propaganda consumistica che la maggior parte del pubblico pensava fosse, cioè una scontata pubblicità al giocattolo, peraltro la Mattel è co-produttrice della pellicola. La molteplicità di messaggi che la Gerwig stratifica nella trama - una regista nota per storie mirate a riassumere abilmente le sfumature dell’esistenza femminile - sono bilanciati sul tema del vivere come donna nel mondo in modo crudo, al di là delle paillettes e dei costumi di scena ispirati a quelli della mitica bambola.
Il celebre filosofo e critico cinematografico Slavoj Zizek ha scritto che è un film sul cliché, dove l’utopica Barbie Land legittima il nostro mondo brutale. E Barbie scopre suo malgrado che il mondo reale è appunto peggiore di quello fantastico da cui scappa. Lei, che affronta insieme a Ken (Ryan Gosling) un avventuroso viaggio nel nostro mondo, incontrerà un’inaspettata distopia fatta di molestie, depressione, insicurezza e patriarcato. Tutto quello che mette in crisi Barbie eccita invece Ken, confermando certi stereotipi di genere in cui l’uomo ne esce ridicolizzato.
L’attrice America Ferrera, che interpreta Gloria, un’impiegata della Mattel, ha detto in un’intervista che agli uomini è permesso di continuare a celebrare cose dall’infanzia all’età adulta, come videogiochi e fumetti, mentre le donne sono forzate a crescere davvero e sacrificarsi per gli altri. Proprio il discorso che fa Gloria nel film è rivelatore:
«[…] Devi avere soldi, ma non puoi chiedere soldi perché è volgare. Devi essere un capo, ma non puoi essere cattiva. Devi comandare, ma non puoi schiacciare le idee degli altri. Devi amare l’essere madre, ma non parlare dei tuoi figli per tutto il dannatissimo tempo. Devi essere una donna in carriera, ma anche preoccuparti sempre degli altri. Devi rispondere del cattivo comportamento degli uomini, il che è assurdo, ma se lo fai notare, vieni accusata di essere una che si lamenta. […] E se tutto questo vale anche per una bambola che rappresenta le donne, allora non so nemmeno io cosa dire».
Insomma, ci si aspetta dalle donne che facciano i loro doveri attesi sul lavoro pure con il sorriso. Lo sguardo della regista è senz’altro femminista ma prova a offrire una prospettiva nuova della donna, anche sul lavoro.
Il quotidiano inglese The Independent ha recensito Barbie come un manifesto “schizzato di rosa” sul potere del lavoro creativo e dell’immaginazione, insostituibili con l’intelligenza artificiale: «[...] è uno dei film mainstream più fantasiosi, immacolati e sorprendenti della memoria recente, una testimonianza di ciò che può essere raggiunto anche nelle viscere più profonde del capitalismo».
E qui torniamo all’espressione di Slavoj Zizek che parafrasando Marx, con l’espressione “spettro che si aggira per l’Europa”, usata nel sottotitolo, coglie l’intento ribelle della Gerwig. Nel suo film non esita a rappresentare la Barbie come un giocattolo “patriarcale”; un modello inarrivabile destinato a minare l’autostima femminile e a perpetuare stereotipi di genere.
In fin dei conti forse è una critica femminista proprio alla Mattel, che con la sua bambola suggeriva alle bambine dei modelli femminili emancipati a cui aspirare.