“La flessibilità nel lavoro è vantaggiosa, in teoria, ma non fa per noi”. È una delle frasi che si sentono dire in aziende in cui i capi, dirigenti e manager sono restii a potenziare lo smart working. Vero, la pandemia ha portato anche settori di manodopera ad agire offrendo qualche ora di smart working a settimana, ma sussiste sempre il detto che “questo modo di lavorare non fa al caso nostro”, quando, invece, potrebbe.
Perché non è una questione legata al tipo di lavoro o di manodopera, ma più una questione legata ad un retaggio culturale ancorato ai vecchi sistemi per cui io (capo) devo osservarti, controllarti benché “Big Brother is watching you”. E i capi hanno timore dello smart working. Il motivo è individuato in cinque situazioni: le "5 C" secondo l'indagine che vi proponiamo di seguito.
I capi hanno paura dello smart working: l’indagine italiana
A dire questo è l’indagine commissionata da Adecco, il gruppo leader nella ricerca e selezione delle risorse umane, alla società Community media research. Il sondaggio ha visto una serie di domande articolate che non riguardassero solo lo smart working ma come i capi d’azienda del nostro paese vedono la propria attività, cosa pensano oggi e che vogliono fare in futuro.
Su mille intervistati, di ogni provenienza, genere e età, alla domanda “Se le venisse proposto il telelavoro?” il 72,2 per cento dei dirigenti ha risposto che spostare il tablet o pc dall’ufficio a casa è “impossibile per il lavoro che svolgo”. Ma è davvero così?
«La reticenza a pensare l’organizzazione aziendale fuori dai canoni finora dominanti – osserva Andrea Malacrida, amministratore delegato di Adecco – dipende da una scarsa consapevolezza su cosa voglia dire telelavoro e su come vada praticato.» Oppure, Pino Mercuri, hr di Microsoft Italia, afferma: «se da un lato c’è propensione alla flessibilità, resta comunque il mito della presenza in azienda, dell’essere sempre disponibile a dare il proprio contributo. Mentre invece si va verso un modello di lavoro via via più fluido».
Ma questo modello di lavoro più “fluido” e flessibile che dall’82% viene visto positivamente ma che non sarebbe adatto al lavoro che fa, è ostacolato non solo dalla scarsa consapevolezza delle potenzialità e dalla disponibilità costante del manager in azienda, ma, più di tutto, dalla possibilità della perdita delle cosiddette “5 C”.
L’Harvard Business Review, in suo lungo articolo, ha riportato quali sono gli esatti motivi che spingono i datori di lavoro a non cedere ad un lavoro più flessibile. Ne è uscito fuori che la paura dello smart working è legata alla paura di perdere le 5 C: controllo, cultura, collaborazione, contributo e connessione.
Paura dello smart working: le 5 C
Paura di perdere il controllo: prima di tutto, la paura di non poter controllare i lavoratori da remoto. C’è l’idea basata sul “se non vedo non credo” e quindi “se non ti vedo lavorare, non stai lavorando”.
Perdita di cultura: dobbiamo prima definire cosa si intende per cultura aziendale. Generalmente è lo scambio di informazioni, idee tra colleghi che fino ad ora è avvenuto tramite il rapporto diretto. Il computer o gli strumenti digitali ovattano molto l’aspetto interpersonale, ma è anche vero che si possono sviluppare dei sistemi come videoconferenze o lavori di team building ottimi anche da remoto.
Perdita di collaborazione: i dirigenti hanno paura che il lavoro da remoto possa diminuire la collaborazione tra i lavoratori. Al contrario, molti software o sistemi tecnologici aiutano e facilitano la collaborazione tra dipendenti.
Perdita di contributo: ci si riferisce alla perdita di prestazione lavorativa. La domanda che i dirigenti si pongono è che “Come posso valutare se effettivamente il dipendente lavora e porta profitto?”. Il tutto sta nel capovolgere il modello lavorativo che non si basa più sulla quantità di ore di lavoro, ma di qualità, con obiettivi calcolabili.
Perdita di connessione: la perdita di contatto interpersonale dei lavoratori prodotta dall’isolamento nel lavorare tra le mura di casa propria. L’isolamento è uno dei problemi maggiori che ha causato anche diversi disagi psicologici durante la pandemia ma a questo problema, oggi, si sono trovate delle strategie con tool e software che consentono una maggiore predisposizione all’interazione e collaborazione tra dipendenti attraverso videochiamate interattive e assegnando progetti con obiettivi da realizzare in gruppo.
La pandemia ha dimostrato che la stragrande maggioranza dei lavoratori è in grado di organizzarsi e rispondere per obiettivi e risultati alla situazione eccezionale. È quindi venuta l'ora di vincerla questa paura?