Internation.org ha stilato il nuovo Expat City Ranking relativo all’anno 2022: una classifica degli espatri e delle città più ambite, ma anche dei perché relativi ad un soggetto che lascia il proprio il paese per sceglierne uno nuovo.
Salgono sul podio di Expat City Ranking, in ordine, Valencia, Dubai e Città del Messico.
L’Italia, invece, non si avvicina neanche lontanamente: le nostre città sono tra le ultime ad essere scelte e tra le prime a essere lasciate. Il risultato? Si ha un flusso migratorio in uscita decisamente più ampio di quello in entrata. L’analisi va osservata però dai suoi diversi punti di vista per capire al meglio il fenomeno, inutile ormai fermarsi al classico luogo comune della “fuga di cervelli”. Perché sì, sicuramente c’è una fuga dall’Italia verso altre direzioni, però non basta più prenderla in osservazione, quanto piuttosto capirne le cause.
A spingere le nuove generazioni verso nuove mete sono una lunga serie di fattori, chiamiamoli pure “difetti” del sistema italiano. Nello scegliere una nuova meta non si prende in considerazione solo l’appeal della città ma, soprattutto il costo della vita, quello della finanza personale e degli stipendi - dunque le possibilità lavorative - e sempre più spesso la qualità della vita.
Applicando questi criteri alle città italiane non ne deriva un’immagine che si possa definire molto positiva. Non a caso nella classifica Expat City Ranking sulla qualità della vita Roma finisce al quarantunesimo posto e Milano al quarantaquattresimo.
Perché le città italiane hanno questi gravi gap?
Mentre tutto muta, gli stipendi italiani restano mummificati, ma la qualità della vita tiene conto di una lunga serie di fattori. Per esempio a far scendere l’Italia verso il fondo della lista gioca un ruolo fondamentale anche l’amministrazione pubblica. In altre parole la poca cura e i disservizi portano l’Italia non solo a perdere valore per nuovi ipotetici investitori, ma al contempo allontanano anche chi appartiene da sempre al suolo italiano.
Quali soluzioni può ideare l’Italia per reagire a questo flusso migratorio?
Sicuramente la prima lacuna da colmare è quella lavorativa: la possibilità di poter svolgere la propria professione con uno stipendio adeguato garantirebbe scelte diverse, conservando Paese, lingua e cultura.
Se il problema è chiaro, le soluzioni un po’ meno. O meglio, le soluzioni non sono così semplici né rapide, l’intera “catena del processo”, dalle istituzioni al mondo lavorativo, dovrebbe elaborare misure non solo di miglioramento ma di connessione. In realtà sono già in corso programmi, tra premi e contest, il cui obiettivo è connettere le università e le aziende, ma i risultati necessitano di tempo.
Nel frattempo l’obiettivo deve essere arginare il disorientamento che spesso si crea tra la fine degli studi e l’affacciarsi ad una carriera, spesso ipotetica e incerta: l’Italia deve creare un ponte tra il percorso formativo e quello lavorativo dei giovani, piuttosto che lasciarli da soli dopo averli formati.