Da diversi anni la parola “robot” ha smesso di essere protagonista solo dei film di fantascienza. Siamo circondati sempre più da sperimentazioni in diversi settori, dalle automobili ai ristoranti, dal campo medico a quello ludico. Tra i tanti campi toccati, l’intelligenza artificiale (AI) emerge anche a livello manageriale. È il caso di Mika, CEO dell'azienda polacca di bevande Dictador , e AI tra le più sviluppate nel business a livello europeo. Il suo obiettivo (o meglio quello per cui è stata introdotta) è analizzare i dati, trovare ipotetici clienti e allineare tutte le informazioni raccolte in linea con gli obiettivi strategici dell’azienda.
Come ogni cambiamento, anche l’introduzione dei robot in questo campo porta con sé pro e contro. A favore di Mika la sua produttività: l’umanoide può vantare un lavoro svolto 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Nella lista dei contro forse emerge solo il fattore sperimentale: la protagonista dell'esperimento è infatti una manager “in prova”: non può dunque prendere decisioni né rilevanti né in autonomia.
Più lavoro per l’uomo.
Più generalmente va considerato forse un terzo fattore: l’ampia ed estrema produttività dell’intelligenza artificiale fornisce all’uomo tanto un aiuto quanto un maggiore lavoro. La vastità di informazioni realizzate devono essere verificate, controllate, analizzate. Paradossalmente, ciò che viene visto come un miglioramento in ambito lavorativo, o spesso come la minaccia di un calo della domanda di lavoro, convergerà probabilmente in un suo aumento, come fa notare un recente studio pubblicato su Research Policy.
Dunque, al contrario della maggior parte dei film di fantascienza, è probabile che l’AI cambierà molti modi di lavorare, ma senza entrare in conflitto con la società umana. La storia ci insegna che spesso l’evoluzione tecnologica subisce un mutamento e non una degenerazione, stimolando in questo modo l’uomo a relazionarsi diversamente con i supporti dai quali è circondato.