Perché sostenere la causa ambientale non interessa tutti? Spesso è una questione di costi: rivalutare e adattarsi ad un nuovo modello economico, cambiare i materiali e i processi in questa era amica dell’ambiente richiede grandi sforzi per il mondo lavorativo.
Il greenwashing e il “verde” che non c’è
In mezzo a chi cerca di fare la differenza, c’è dunque chi pretende di farla solo di facciata. In casi come questo si parla di greenwashing. Il termine, come suggeriscono i dizionari, descrive una “strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”.
L’esempio più noto di greenwashing ha riguardato Coca Cola. La multinazionale americana, infatti, è stata portata in tribunale dall’organizzazione Earth Island Institute che le ha puntato il dito contro per due claim di comunicazione. World without waste, benché i dati di Greenpeace l’abbiano nominata l’impresa più inquinante a livello globale per quanto riguarda la produzione di plastica; Every bottle back, una frase che suggerisce la completa riciclabilità delle bottiglie Coca Cola quando solo il 30% delle bottiglie è risultato riciclabile durante le verifiche.
Il pinkwashing e i “valori” degli altri
C’è poi un altro tipo di finzione: prende il nome di pinkwashing e sbandiera la difesa della comunità LGBTQ+. Chiaramente anche in questo caso si tratta di una trovata di marketing e non di etica: i valori condivisi sono uno strumento pubblicitario e di fatto non si agisce per un reale supporto etico. Le aziende si descrivono dunque vicine a queste comunità con le parole, senza mai dare però un reale supporto con i fatti.
Questo termine può descrivere anche una seconda casistica: indica trovate pubblicitarie riguardanti una parità di genere spesso assente nella realtà aziendale. Che il pinkwashing venga dunque usato in riferimento alla comunità LGBTQ+ o a quella delle donne indica in ogni caso un'abilità nel supportare valori etici, ma che in realtà lo fa solo a livello narrativo.
L’esempio più noto in merito al pinkwashing è stato quello della catena fast food KFC che nel 2010 fece una partnership con Komen, un’importante associazione per la lotta al cancro al seno. Per l’occasione i suoi iconici secchielli del pollo fritto si tinsero di rosa e la campagna raccolse ben 4 milioni di dollari da devolvere all’associazione. Tuttavia, i soldi erano stati già devoluti a Komen prima e il ricavato della vendita dei secchielli rosa andava solo a accrescere le vendite di KFC. I soldi erano realmente stati donati ma lo sarebbero stati a prescindere e all’iniziativa fu contestato di servire a ottenere visibilità.
Il bluewashing e la questione dei diritti umani
Più generalmente, anche i diritti umani possono essere oggetto di pratiche di marketing: il bluewashing che, non a caso, ricorda il colore delle Nazioni Unite. Il fenomeno inizia, infatti, quando l’ONU decide, a inizio secolo, di stilare il programma UN Global Compact: una serie di norme riguardanti la sostenibilità sia etica sia ambientale. Il problema però risiede nei criteri: rispettare queste norme è fin troppo semplice. Si tratta di “dieci comandamenti” in materia ambientale ed etica non vincolanti. Inoltre il modo in cui le aziende aderiscono a questa normativa viene messo per iscritto in un rapporto stilato dall’ente stesso.
Si comprende chiaramente come un’impresa voglia rappresentare se stessa nei diversi ambienti lavorativi come difensore dei diritti umani e non certo viceversa. Al momento il bluewashing ha ancora i contorni sfumati e non prevede sanzioni, ma ci sono multinazionali “attenzionate”. Ad esempio L’Oréal, H&M e Nestlè hanno sbandierato il loro impegno in merito a diritti umani, standard lavorativi, ambiente, anticorruzione e l’adesione ai dieci United Nation Global Compact Principles e per questo hanno “gli occhi addosso”.
Perché è importante che le aziende virtuose rigettino il greenwashing e altre tecniche di marketing subdole?
Tra il greenwashing o simili pratiche scorrette di marketing e la realtà dei fatti si frappone il venire a galla di informazioni reali. Ma un’azienda dai comportamenti limpidi sul suo operato e nella sua comunicazione garantisce sicuramente anche il benessere dei propri collaboratori accrescendone il suo prestigio. Ed è sicuramente notato dai giovani talenti sensibili a questo tipo d’impegno. Peraltro, che ci si trovi dalla parte dei consumatori o dei lavoratori, è desiderio di tutti che le imprese si prendano la responsabilità di integrarsi nel loro ambiente sociale, economico ed ecologico.