Un commento dell’autorevole giornalista Giovanna Botteri - inviata RAI da Parigi - è illuminante sulla gigantesca mobilitazione della Francia contro la riforma del sistema pensionistico, voluta dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron:
<<Sono 50 anni che ci dicono “devi lavorare duro, devi fare carriera”. E improvvisamente oggi nelle strade di Parigi si sente qualcos’altro: che c’è una vita oltre il lavoro e che bisogna rivendicarla>>.
Contro la legge, per innalzare l’età pensionabile da 62 a 64 anni e portare a 43 anni i contributi necessari entro il 2030, non c’è solo l’opposizione dei sindacati - con le barricate di cui i cugini d’oltralpe hanno una consolidata tradizione – bensì si fondono più istanze sociali. Ai lavoratori si sono uniti nella protesta i giovani, perché considerano la riforma delle pensioni una minaccia per il loro futuro, contestando pure i metodi autoritari del presidente per l’approvazione che evita i voti all’assemblea nazionale.
Secondo sondaggi recenti, i francesi non vogliono lavorare meno, ma meglio. E chiedono che la loro occupazione sia fonte di soddisfazione personale. Come ha riportato Anthony Hussenot in un articolo su Le Monde, citando studi recenti da istituti di ricerca quali IFOP, DARES e Fabrique Spinoza, in Francia il lavoro è percepito come un obbligo e non come mezzo di realizzazione personale. Benché qui si lavori meno ore rispetto agli altri paesi europei, il dato che salta all’occhio è l’insoddisfazione: il 49% degli intervistai si lamenta dell’impossibilità di migliorare l’organizzazione si cui fa parte, mentre il 25% dichiara proprio di annoiarsi sul luogo di lavoro. Se il dibattito si sposta sul senso della vita professionale, ecco che la richiesta non è lavorare meno, ma farlo meglio.
In questo i giovani sono parte del dibattito, le loro aspirazioni sono più radicali di quelle delle generazioni precedenti, perché esigono un cambio del modello, quello in cui ci si riappropria dell’energia investita nella vita professionale. Imponendo una riforma che chiede di lavorare per più tempo, il governo ha dimostrato di non aver capito nulla di tutto questo.
“Togliendo risorse allo stato sociale invece di rafforzarlo, il governo indebolisce la Francia e la sua posizione nel mondo – ha dichiarato il celebre economista francese Thomas Piketty – […] Macron ha sbagliato epoca e sta applicando ricette inadatte, come se fosse rimasto intellettualmente fermo all’euforia liberista degli anni Novanta”. In sostanza non è vero, come sostiene Macron, che gli alti costi del sistema pensionistico sono un problema per le finanze pubbliche, né la riforma è stata chiesta dalle istituzioni europee.
Una riflessione finale merita la gestione della piazza in Francia, perché la cronaca delle manifestazioni e la repressione della polizia ha fatto sfociare i cortei in guerriglia urbana. La gendarmerie ha spesso cercato di intervenire attivamente nelle dimostrazioni, spaccando i cortei in due e arginando poi le proteste violente con una reazione ancora più violenta.
Il sistema di “legge e ordine” si accompagna da più di vent’anni alla demolizione del welfare state e all’insicurezza sociale che esso genera. Se Macron decide d’imperio d’intervenire nella normativa sul lavoro, ma non può neppure offrire più sussistenza alle classi popolari che vivono di pensioni minime, l’unico mezzo per garantire sicurezza - o quantomeno un suo simulacro - è aumentare il volto repressivo dello stato.
Questo è in fin dei conti proprio quello che è successo ovunque durante i lunghi decenni del consenso neoliberale: mentre si tagliava senza pietà la spesa sociale si aumentano i fondi per le forze di polizia e le forze armate (la Francia spenderà 430 miliardi al 2030 in armamenti).
In conclusione, a capeggiare questa svolta dallo “stato sociale” allo “stato guardiano” non è stata solo la “nuova destra” ma anche politici della “terza via” come Bill Clinton. Macron oggi, incarnando una repubblica autoritaria, applica un modello – quello della riforma neoliberale - fallito miseramente ovunque, dalla Gran Bretagna di Tony Blair all’Italia di Mario Draghi. Come l’ha definita l’economista Stefano Palombarini, una “parabola di apparente innovazione che è stata seguita da una crisi distruttiva”.