Un anno fa, pubblicavamo un articolo dal titolo "E se il Coronavirus imponesse anche in Italia uno Smart Working forzato?". Quando finisce una pandemia? Tredici mesi dopo quel fatidico 31 dicembre 2019, quando le autorità sanitarie della Cina comunicavano all’Organizzazione Mondiale della Sanità casi di “polmonite da causa sconosciuta”, la domanda resta inevasa.
In realtà, una pandemia ha due tipi di fine: una naturale, quando il virus che l’ha provocata scompare, e una sociale. Ovvero quando le persone si adeguano alla situazione e sono disposti a correre dei rischi in termini di salute, tornando a comportamenti simili a quelli precedenti l’emergenza sanitaria. Dall’aperitivo in “zona gialla” allo shopping, direi che quantomeno siamo nella seconda ipotesi al momento in Italia.
Cosa sta succedendo invece per il lavoro? Considerato che abbiamo diviso il mondo tra chi faceva smart working prima che arrivasse la pandemia da Covid-19 e chi no, oggi questo confine non è più interessante. Impiegati e manager hanno capito che si può lavorare a distanza e garantire la continuità operativa dell’azienda. Secondo l’ISTAT a Gennaio 2020 erano in modalità agile appena l’1,2% dei lavoratori italiani, ad aprile erano il 31,4%. E qui i soggetti di cui sopra hanno capito un’altra cosa: servono regole, altrimenti a casa si rischia di lavorare h-24! Una nuova forma di stress è stata sperimentata e magari lo smart worker post-Covid19 preferirà il coworking agli spazi domestici, possibilmente da raggiungere a piedi o in bicicletta.
Il vaccino e l’ufficio.
Da un paio di mesi è cominciata la campagna vaccinale contro il Covid-19. Si tratta di un risultato storico per la scienza, un successo di bioingegneria a tempo di record, reso possibile da decenni di studi sui virus e la biologia molecolare, nonché poderosi finanziamenti in sinergia pubblico – privato.
L’impressione è che nonostante la futura “immunità di gregge”, la tendenza sarà quella di andare meno in ufficio. Ore nel traffico risparmiate, meeting trasferiti on line e in generale un’organizzazione del lavoro diversa, più smart.
Abbiamo visto l’on line crescere e in pochi mesi bruciare tappe di anni, consolidando anche l’abitudine di lavorare da remoto ogni volta che lo si può fare. Anche perché, in teoria, siamo giustificati dal fatto di essere in emergenza sanitaria prorogata fino a primavera inoltrata. Interessante a questo collegare una riflessione di Beniamino Pagliaro su DLui di Repubblica dal titolo Working smart Working Less: << negli uffici – o sui nostri schermi – non dovremo più confondere la presenza con il presenzialismo. […] Però l’adozione forzata della tecnologia ha, potenzialmente, un effetto sull’organizzazione gerarchica e piramidale. La mappa dell’ufficio condiziona di meno le nostre carriere>>. Su quest’ultimo punto a mio avviso è opportuno essere più prudenti. Sarà interessante, tra qualche anno, un’indagine che effettivamente vada a vedere gli avanzamenti di carriera degli smart workers in rapporto a chi è tornato a lavorare in presenza dopo l’emergenza sanitaria.
L’economia e il lavoro del futuro saranno ibridi.
“Non torneremo all’economia di prima. Ci sarà una ripresa, ma verso un’economia differente” ha detto Jerome Powell, il governatore della Federal Reserve, e la banca centrale USA come pulpito è piuttosto attendibile. Invece, una delle frasi più sfortunate del 2020 è attribuita al sindaco di Milano Beppe Sala, quel suo “Torniamo a lavorare” a giugno fu una gaffe clamorosa, considerando che tutta l’amministrazione del comune meneghino era appunto in smart working.
Tuttavia, la stragrande maggioranza degli HR italiani ritiene che il futuro sarà una gestione ibrida tra presenza in ufficio e lavoro da remoto e dovranno per forza essere ripensate le politiche urbane della città post-Covid19 in termini di servizi. In quest’ottica sono interessanti le parole della nota architetta franco-milanese Patricia Viel che ha dichiarato come << […] tutti abbiamo imparato con formidabile brutalità che se siamo bravi a organizzare la nostra vita quotidiana e a gestire un rapporto di tipo fiduciario, possiamo lavorare anche non andando tutti i giorni in ufficio. Questa è la legacy che ci lascia questa avventura, non certo il fatto che in un borgo ci si ammali meno che in città>>.
Un’ultima considerazione riguarda il Recovery & Resilience Plan, quello che per l’Italia prevede un prestito da 209 miliardi per ristorare la propria economia. È stato partorito dall’Unione Europea uno strumento che ha sconfessato dieci anni di politiche economiche di segno opposto, basate sul rigore. Anche questo è una “legacy” della pandemia e speriamo contribuisca a impedire che il lavoro del futuro sia tutt’altro che smart.
La foto di copertina è di Marco Castelli, tratta dalla serie "Italian Lockdown" pubblicata nel libro Firenze 2020 a cura di FUL Magazine.