Le modalità organizzative per sperimentare la settimana corta sono varie. Esempio, dall’opzione che prevede la flessibilità in entrata la mattina a quella che propone il venerdì pomeriggio a casa a partire dalle 14, con le ore eccedenti spalmate durante gli altri quattro giorni. Oppure chi ha semplicemente deciso di tenere aperta l’azienda un giorno in meno. La gestione oraria più flessibile - un tempo appannaggio esclusivo della pubblica amministrazione o di ruoli sales manager - da qualche tempo è al centro del dibattito sul lavoro in Italia.
In particolare in Veneto emergono alcuni esperimenti, come ha riportato un interessante articolo di Alice D’Este sul Corriere della Sera.
Anche nel privato, nella regione che da sola produce il 9,2% del PIL italiano, il miraggio dei «quattro giorni di lavoro a settimana» è in realtà un’oasi vera. Gli esempi riportati riguardano aziende diverse tra loro: si va dalla multiutility ETRA (Energia Territorio Risorse Ambientali), che gestisce rifiuti e servizio idrico integrato dall’Altopiano di Asiago ai Colli Euganei, ad aziende storiche come la Rigoni di Asiago, leader delle marmellate, passando per l’Imap di Sedico a Belluno, attiva nel settore delle tecnologie plastiche e poliuretaniche, o la tipografia Pixartprinting di Quarto d'Altino. «Così attiriamo i talenti» è stata la risposta alla domanda sul perché si sia ceduto alla nuova organizzazione.
Come ha scritto recentemente Francesco Marrangoni su questo Magazine:
«È impossibile prevedere se la settimana corta prenderà o meno piede nel futuro prossimo, ma l'interesse generato è innegabile, i dati storici favorevoli e i vantaggi promessi assai numerosi. Ma forse guardare alla questione in modo meramente strumentale è sbagliato, e dovremmo partire dal presupposto che il tempo libero sia un bene in sé».
Viene da aggiungere “e si attirano i talenti”! Staremo a vedere, ma fino a qualche anno fa anche parlare di smart working a qualcuno sembrava utopia.