Zoom, proprio loro?! Se Zoom - l’azienda californiana simbolo dello smart working durante la pandemia - richiama in ufficio i lavoratori, quanto è una cattiva notizia? Per noi che ci chiamiamo Smart Working Magazine potrebbe essere bruttissima. Va precisato che non si tratta di un ritorno in presenza a tempo pieno, il noto fornitore di telecomunicazioni sta chiedendo a tutti i dipendenti che si trovano entro 50 miglia da un ufficio dell’azienda di recarsi in sede almeno due giorni a settimana, seguendo un programma ibrido.
Quindi, la fotografia dell’attuale è una graduale migrazione inversa, dalla call alla sala conferenze. Le aziende di Wall Street sono state tra le più energiche nel convocare i lavoratori nei loro uffici, ma negli ultimi mesi anche molti titani della tecnologia - Apple, Google, Meta e altri - hanno chiesto al personale di presentarsi in ufficio almeno tre giorni alla settimana. Per chi crede nel lavoro da casa, sembra la vendetta dei burberi CEO aziendali. Ma un'ondata di studi durante il periodo pandemico non aveva dimostrato che il lavoro a distanza era spesso più produttivo del lavoro in ufficio? Già, ma la realtà è più complessa.
Perché quando si parla di smart working è necessario un certo bilanciamento, non basta mettere le persone a operare da remoto per renderle più produttive, come non basta farle tornare in ufficio se qualcosa non funziona più. Forse a Zoom stanno cercando la giusta dose di ingredienti “smart”, la ricetta per il migliore ecosistema aziendale non è uguale per tutti.
Comunque, come abbiamo osservato in un precedente articolo, la globalizzazione verte sempre più sui servizi e il lavoro da remoto è qui per restare.