Un sociologo e un consulente d’impresa a confronto sull’impiego delle risorse umane nelle aziende dopo l’emergenza sanitaria.
Ogni ciclo di contrazione dell’economia porta all’assestamento del sistema su standard diversi, quasi sempre più bassi rispetto a quelli precedenti. Prima del ritorno ai livelli pre-crisi, uno degli aspetti in particolare più toccato è quello occupazionale. Non solo con la riduzione della forza lavoro, spesso anche con la tipologia di impiego.
Francesco Sani, giornalista e studioso di Sociologia del Lavoro, è tornato ad intervistare l’Ing. Tommaso Pierozzi, esperto di “Strategia e Modelli di business” a Lucy in the Sky – start up fiorentina per i servizi innovativi alle imprese – per fare un punto sulle criticità aziendali, ipotizzate nella fase più acuta dell’emergenza sanitaria (articolo a questo link), alla luce della “nuova normalità” del presente.
Tre mesi fa eravamo in una situazione mai sperimentata prima da imprese e lavoratori in età moderna. Gli scenari erano imprevedibili, fare consulenza era difficile quanto organizzare la forza lavoro da remoto. Cosa è cambiato oggi?
Adesso assistiamo ad un ibrido tra smart working e remote working. Tuttavia, credo che poche aziende abbiano risolto i loro problemi organizzativi. La situazione è ancora emergenziale per alcune, questo è quello che ho notato e non sarà privo di conseguenze. In ottica futura, non abbandonare questo sistema ibrido - che pure durante l’emergenza ha tentato di dare una sorta di continuità all’operatività - per un progetto di lavoro agile strutturato, potrebbe essere un boomerang. Benché sia ovvio che è ormai impensabile proporre un progetto di smart working da implementare in due anni, ma anche sei mesi potrebbe essere un tempo lungo nella nuova situazione, non si può adagiarsi su questo nuovo equilibrio. Credere, erroneamente, di aver trovato una nuova normalità, espone a grandi rischi appena ci sarà un minimo di ripresa.
Ti riferisci alla necessità di ottimizzare le risorse e sviluppare nuovi progetti di business?
Esatto, nessuna fase creativa e di problem setting può nascere gestendo le risorse da remoto, di questo ne sono fermamente convinto. A settembre c’è il rischio della stagnazione dell’attività se le aziende si adagiano in questa situazione. Il fatto di esser riusciti a garantire un qualche tipo di servizio ai clienti, nonostante l’emergenza, potrebbe causare una resistenza al ritorno all’abituale operatività pre-Coronavirus. Come consulente d’impresa voglio essere chiaro, la fase di “non aggressione” tra gli operatori sul mercato finirà presto e chi non si sarà adeguato troverà di fronte una concorrenza spietata.
Tutti gli esperti indicano nei mesi di settembre/ottobre come quelli in cui la crisi si rivelerà in tutta la sua complessità. Cioè quando la contrazione finanziaria e della domanda arriveranno al dunque.
Dopo l’estate ci sarà maggior coscienza delle difficoltà e delle sfide che attendono le PMI. Come tutti sanno, in Italia ci sono molte realtà che sul mercato riescono solo a sopravvivere e la tempesta all’orizzonte può essere quella fatale che le ridimensiona definitivamente. La crisi non finisce con la fine del distanziamento sociale, ma inizierà con il manifestarsi degli eventi tipici della contrazione economica, come la riduzione del credito e i fallimenti. Il timore è che sarà un autunno molto complicato…
Ricapitolando, ci sono due aspetti ineludibili con cui fare i conti:
- La crisi vera si avrà in autunno perché – indipendentemente dal lockdown - le aziende hanno dei cicli di attività che durano alcuni mesi e quindi gli effetti sulla cosiddetta “economia reale” non sono immediati, ma si manifestano dopo un po’ di tempo quando calano gli investimenti;
- Risolvere l’attuale sistema ibrido dello smart working forzato in cui i lavoratori sono stati organizzati in maniera destrutturata, tra ufficio e operatività da remoto, senza un progetto strategico.
Il primo punto ha conseguenze sull’occupazione che conosciamo. Sul secondo cosa succederà secondo la tua esperienza nelle aziende, prima con Process Factory e adesso con la start up Lucy In The Sky?
Presumibilmente ci sarà una tendenza per i prossimi anni a contrarre la forza lavoro interna a vantaggio di soluzioni più semplici e liquide. Prevedo un aumento della “liquid workforce”. Ovvero un maggiore ricorso al libero professionista/consulente che svolge delle attività per conto dell’azienda, sostituendo magari una funzione prima in capo ad un dipendente interno. Sono curioso di capire quali saranno le “regole d’ingaggio”, ovvero le modalità di gestione di tali risorse e il costo relativo. E quanto inciderà in termini di riduzione della workforce interna.
Ci immaginiamo che le aziende nei prossimi anni dovranno ristrutturare i propri costi per un 20%-30% dei soli costi indiretti (progettazione, marketing, contabilità, amministrazione, organizzazione/HR e sicurezza). Logico come sul fronte produttività sarà richiesto uno sforzo che in parte potrà essere scaricato sul collaboratore esterno, a cui verrà chiesto sempre di più ma con una crescita minore dei compensi.
Da studioso di Sociologia del Lavoro questo punto mi interessa particolarmente. Nel nostro Paese ci sono studi che provano come la cronica diminuzione di produttività sia andata di pari passo con la precarizzazione del lavoro. Quindi ti chiedo: come si sviluppano nuovi progetti di business con una liquid workforce?
Per risponderti faccio riferimento a quello che è accaduto in questi mesi: bene o male le aziende si sono rese conto che si può collaborare da remoto. Si sono rese conto cioè che un progettista può continuare a svolgere il suo compito anche se non è presente in ufficio. Allora possono ingaggiare un professionista a giornata, anche operante su un mercato estero, che sviluppa per loro un servizio senza che alcuno debba muoversi dalla propria sede.
Non solo: le organizzazioni si sposteranno dal tema di come far crescere le competenze all’interno di una workforce limitata a come approvvigionarsele in un mercato liquido. Secondo voi per quale modello opteranno le aziende che nei prossimi anni a seguito della crisi post-covid dovranno rivoluzionare il proprio modello di business?
La chiave sarà più competenze specializzate da usare al bisogno senza necessità di esclusiva e soprattutto senza sostenerne un costo fisso. In questo diventa però fondamentale fidelizzare il freelance. Noi in Lucy in the sky lo chiamiamo il “marketing dell’ufficio acquisti”, che dovrà essere bravo a tenersi stretto i migliori collaboratori all’interno di un nuovo mercato liquido di risorsem competenze e (lo diciamo?) anche di motivazioni.