Elisa Cattaneo è Global Human Resources Director a Alessi S.p.A., l’iconico brand piemontese di design nato nel 1921. In questa intervista mi ha confidato che le piacerebbe essere ricordata come una professionista che ha aiutato lo sviluppo degli altri e quindi ha consentito al proprio team - e a tutte le persone nell'organizzazione - di trovare una propria identità professionale e di esprimerla al meglio.
Elisa è una persona sfidante che le piace mettere alla prova le persone e soprattutto sé stessa, e facendo questo ha bisogno di spazi di studio e stimoli sempre nuovi; per lei avere una squadra forte aiuta a creare questi spazi e diventa quindi una leva potentissima per fare sempre meglio.
Elisa, qual è la cosa che ti rende piu orgogliosa?
Il percorso di crescita del mio team. La cosa che mi ha reso più orgogliosa è stata la naturalezza con la quale il mio capo ha detto: “ok, alla tua uscita le persone che restano sono pronte a succederti”, per me questo è stato veramente motivo di orgoglio.
Andando più sull’operatività, senz’altro il progetto dello smart working mi rende particolarmente orgogliosa; aver firmato un accordo nel 2017 in maniera del tutto anticipatoria rispetto alle tendenze del momento è ancora oggi per me una pietra miliare della mia carriera.
Mi sento un po’ madre dello smart working all'interno di un'organizzazione nata tradizionale ed è diventata progressivamente sempre più innovativa.
Cosa ti rende felice e cosa frustrata?
La cosa che mi rende felice è sentire un legame di squadra per me estremamente appagante, per converso la cosa che mi rende frustrata è quando questo team non c'è.
Per me è estremamente faticoso lavorare in un ambiente dove regna l'individualismo, dove tutti parlano singolare e dove ogni progetto è “il progetto” del singolo, questo è lontanissima dalla mia dimensione.
Se si parla di azienda, per definizione è un insieme di persone e quindi nessuno può avere la presunzione di dire “l'ho fatto io”.
Io non sono il tipo di persona che pensa che tutti possano cambiare solo per il fatto stesso di vedere un vantaggio collettivo. Capita dunque di dover fare delle scelte coraggiose e quindi dover dire che se sei veramente contro i valori che abbracciano il lavoro di squadra e tu sei un individualista, allora sei fuori.
Ovviamente ci può stare che ci sia il “diverso”, l’elemento di provocazione per il gruppo, magari non integrato, ma è benvenuto se crea delle abilitazioni per gli altri.
Cosa è cambiato negli ultimi due anni?
Avendo io stessa cambiato azienda di recente, mi sono resa conto che non tutti hanno vissuto la pandemia allo stesso modo. Nella mia precedente azienda la pandemia ha segnato veramente un cut off sul metodo di lavoro, eravamo probabilmente già pronti però, quindi è stato relativamente facile passare ad una modalità di lavoro realmente “smart”: lavoro dove voglio, quando voglio, per degli obiettivi condivisi misurabili e quantificabili.
Nella mia azienda attuale invece la pandemia ha soprattutto segnato un approccio al mercato diverso, non più tradizionale bensì digitale. Questa è stata l’occasione per iniziare un percorso che fino ad oggi non era stato mai intrapreso e si è spinto tantissimo su quel canale, generando vendite impensabili se ciò non fosse avvenuto.
Potrei affermare che nell’azienda precedente ci sia stato un vero cambiamento culturale, in quella attuale il cambiamento culturale lo vedremo invece a seguito ad altre mutazioni che l’hanno preceduto.
Questo per quanto riguarda i contesti culturali organizzativi, ci sono stati poi cambiamenti importanti per gli individui, oggi trovo le persone più fragili, più sensibili e più esposte. Lavorare oggi con le persone vuol dire prestare ancora più attenzione alle loro esigenze tenendo nella massima considerazione il fatto che oggi sono tutti mediamente più disposti a riconoscere e a far vedere la propria vulnerabilità.
Il fatto stesso di aver fatto entrare gli altri nelle nostre case e nei nostri spazi personali ha indubbiamente creato un’apertura che qualcuno ha vissuto come beneficio, altri invece come invasione e noi HR non possiamo non tenerne di conto. Lo stesso fenomeno può avere una lettura positiva o negativa a seconda dell'individuo, ma sono convinta che qualsiasi cambiamento - se razionalizzato e adeguatamente metabolizzato - diventa un'opportunità anche per i più fragili. Le persone però devono essere aiutate in questo percorso.
Domani avendo carta bianca cosa faresti?
Avvierei un percorso di formazione per tutti, lavorerei molto sul Team Building, Management Team, creando occasioni di incontro e condivisione.
Partirei dalle basi, non ti posso far fare un corso di leadership e delega se non sai ancora comunicare, quindi devo cercare di individuare quello che è il tuo bisogno e su questo costruire la formazione, non fine a sé stessa, sennò è edonismo professionale. La formazione deve realmente aiutare le persone a cambiare o più semplicemente a migliorare.
Perché gli HR raccontano di mondi meravigliosi ma poi le persone sono scontente?
Perché spesso noi ci parliamo addosso e quindi celebriamo gli strumenti e/o le teorie incuranti del fatto che siano utili o meno.
Ricordo ancora, saranno passati 15 anni, il manuale delle competenze di American Standard Company, saranno state 300 pagine con una minuziosa descrizione della competenza, assolutamente meravigliosa!
Poi però quando le calavi sulla linea o dai colleghi nell'ufficio accanto, emergevano i problemi, soprattutto di comprensione dell’utilità di queste cose e finivano non solo per diventare “lettera morta” ma addirittura un freno allo sviluppo delle persone. Allora prima devi creare una cultura e solo dopo, eventualmente sofisticare, non si può pensare di costruire la cultura di un’azienda partendo da strumenti sofisticati.
Ora si parla normalmente di “HR business partner” ma io ricordo, quindici anni fa, che ero considerata un’eretica. Ma ho sempre creduto di avere, come “HR”, il dovere di conoscere quello che la mia azienda faceva in termini di business e di mercato. Io sono sempre dell'idea che si debba rivolgere lo sguardo su di sé per cercare soluzioni pratiche e utili all’organizzazione e alle persone che la compongono.
Bisogna sempre farsi la domanda: ho fatto tutto quello che era nelle mie possibilità per supportare i colleghi e la mia squadra e quindi la mia azienda?