Elisabetta Maiocchi è da sempre appassionata alle Risorse Umane, fin dagli studi universitari ha cominciato a innamorarsi di tematiche di diritto del lavoro e si è laureata in Scienze Politiche. Successivamente un corso di Risorse Umane presso l'Università Cattolica di Milano gli ha aperto un mondo sulle tematiche di selezione, formazione e valutazione delle persone. Da 12 anni è HR Director della SIAE Microelettronica S.p.A. a Cologno Monzese.
Elisabetta, quali sono state le tue principali esperienze professionali?
Le mie esperienze più importanti sono state tre. La prima, nella società di ricerca e selezione Mida, è stata quella dove ho potuto lavorare veramente nel mondo della selezione. Pur nella mia ingenuità di allora ritengo di aver fatto un buon lavoro anche se non ne avevo piena consapevolezza.
Dopo un’altra esperienza sempre nella consulenza, sono entrata in Danone, dove ho imparato quanto sia importante per questa funzione essere vicini al business. Ho anche avuto la possibilità di vivere le vicende dello stabilimento, quando sono arrivata lì era in programma la chiusura ed è stato bello invece lottare tutti insieme per riuscire a rimanere aperti e lavorare sulla sicurezza dei lavoratori. È stato principalmente un lavoro di ascolto dal quale ho potuto imparare moltissimo.
Quando sono arrivata in SIAE Microelettronica, poi, ho aggiunto ancora un tassello: ho scoperto l’importanza di farsi mediatore tra la proprietà, il management e l’organizzazione, per favorire il dialogo.
Qual è la cosa che ti rende piu orgogliosa?
Sicuramente il fatto di aver creato una direzione risorse umane e un team in grado oggi di lavorare anche su temi come la sostenibilità e la Diversity & Inclusion.
L’aver, quindi, portato dentro l’organizzazione temi che considero importanti e che prima non era considerati. Questa è probabilmente la cosa che più mi inorgoglisce, poiché è stato necessario vincere un po’ di scetticismo e resistenza al cambiamento.
Che cosa ti rende felice e cosa frustrata?
Quello che mi rende felice è il fatto di sentire che le persone all'interno dell'organizzazione si rivolgono a me come un punto di snodo, cioè un interlocutore chiave dell'organizzazione. E pure mi rende felice sapere che i miei colleghi sono un punto di riferimento per me.
Quello che mi rende più frustrata in questo periodo sono le dimissioni, c'è un momento di mercato sicuramente favorevole però ci sono anche dei ripensamenti da parte delle persone sulla loro vita e ciò che vogliono.
Persone che non avrei mai pensato se ne andassero dall'azienda, ora invece stanno prendendo decisioni diverse e questo mi ha un po’ stupita: Però è assolutamente in linea con quello che sto sentendo, non ho mai trovato un parallelismo così forte tra quello che sto leggendo sui giornali e quello che sta accadendo.
È come se ci fossero tre gruppi di persone: un gruppo sono quelli vicini alla pensione e che hanno deciso di lasciare definitivamente, cosa comunque un po’ inusuale almeno da noi. Un altro gruppo è quello delle persone che magari dopo vent'anni di esperienza scoprono che devono fare un corso o un’esperienza diversa e scoprono che quello che hanno guadagnato è abbastanza, quindi semplicemente mollano per fare altro.
Infine, ci sono quelli che pesano il rapporto tra lavoro e vita privata e cercano di costruire nuovi equilibri, fatti magari di un lavoro meno impegnativo o anche soltanto più vicino a casa. È frustrante il fatto di non essersi resi conto prima di quello che evidentemente già covava nell’animo di tutto queste persone.
Cosa è cambiato negli ultimi due anni?
Un cambio importante è stato senz’altro lo smart working che ha avuto un forte impatto, non soltanto sulle persone e sull’organizzazione, ma anche sugli spazi fisici che devono essere ripensati.
Ho notato che siamo ancora in una fase in cui le persone si aspettano di poter lavorare in modalità smart, ma sono scettiche sugli aspetti legati all’introduzione di una policy. Probabilmente perché fatalmente collegata ad un meccanismo di autorizzazione che mal si concilia con la libertà organizzativa che hanno in mente.
Un altro cambiamento che ho notato è che le persone ormai hanno meno remore a parlare della propria vita privata, come se l’aver mischiato maggiormente lavoro e vita privata abbia fatto cadere delle barriere anche dal punto di vista psicologico.
Non è casuale che sia successo questo perché attraverso il pc, le video-call e il lavoro da remoto, abbiamo fatto entrare le persone in casa nostra. Oggi vedo persone che dedicano più tempo ai figli o alle attività sportive, senza più considerarlo come qualcosa che si contrappone al loro lavoro e ruolo.
C’è stato persino un cambiamento fisico nelle persone, la “divisa” da lavoro ha spesso lasciato il campo ad abbigliamento o acconciature che rispettano meno le presunte aspettative del contesto lavorativo, a favore di un’espressione più autentica di sé stessi.
Domani avendo carta bianca cosa faresti?
Organizzerei gli spazi fisici dove si lavora in modo da facilitare questo processo, in modo da poter alternare lavoro e formazione.
Dovrebbero non esistere più postazioni fisse a favore di spazi comuni. Sicuramente gli spazi fisici hanno un'influenza sulle persone e sulla loro possibilità di esprimersi. Sarebbe quindi necessario ripensarli in modo da assecondare il cambiamento di mindset in atto e favorirlo.
Ho constatato che alcune persone hanno più facilmente assorbito il passaggio che c’è stato, anche dal punto di vista degli strumenti che sono entrati nel nostro quotidiano; i più giovani hanno spesso avuto meno difficoltà ad adattarsi al nuovo modo di lavorare e oggi possono fungere da traino per tutta l’organizzazione.
Capita che gli HR raccontino di “mondi meravigliosi” in azienda ma poi le persone sono scontente?
Forse perché quello che dal punto di vista organizzativo ci sforziamo di dare alle persone che lavorano nelle organizzazioni non riesce mai a corrispondere realmente a quelle che sono le loro esigenze.
Probabilmente dovremmo essere più attenti nell’ascolto delle persone e più capaci di occuparci dei singoli, creando forme di welfare il più possibile personalizzate.
L’impressione è che spesso non ci sia convergenza tra gli obiettivi dell’organizzazione e quelli delle singole persone che la compongono. Uno dei compiti della funzione HR dovrebbe dunque essere proprio quello di cercare e favorire il massimo allineamento possibile di obiettivi potenzialmente anche contrastanti.