Sergio Alberto Codella, è un avvocato giuslavorista esperto di diritto del lavoro, sindacale e della previdenza sociale. Le aziende lo coinvolgono, quasi quotidianamente, per consulenza strategica in situazioni di difficoltà nei rapporti di lavoro o per supporto alla direzione HR.
Nell’affrontare progetti di riorganizzazione ha compreso le potenzialità dello smart working come strumento per migliorare il lavoro, per questo è abituale speaker dello Smart Working Day. Dopo l’ultimo evento che abbiamo organizzato a Roma a novembre lo abbiamo intervistato, è stata l’occasione per approfondire un paio di argomenti topici sul lavoro agile.
Avvocato, quale bilancio possiamo fare dopo quattro anni dall’entrata in vigore della Legge 81/2017 sul lavoro agile?
Al momento il bilancio sulla legge in materia di smart working è fortemente influenzato dalla normativa “emergenziale” determinata dalla pandemia. Infatti, l’urgenza di intervenire per assicurare un utilizzo ancora “più” smart del lavoro agile ha determinato, tra le altre cose, la temporanea “deroga” sulla necessità di un accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore, elemento fondante della L. n. 81/2017. Al netto di questo, oggi sembra - quasi - superata l’emergenza, tanto è vero che molte aziende si stanno organizzando per riattivare sistemi di smart working in aderenza con i dettami della L. n. 81/2017.
Ci sono molte società che stanno facendo vivere una “seconda” primavera in materia di smart working prendendo come “bussola” proprio la L. n. 81/2017 e cogliendo l’occasione per riammodernare gli spazi di lavoro e rivoluzionare l’intero sistema organizzativo. Tutto ciò conferma che, al netto della situazione imposta dal Covid, la L. n. 81/2017 è una buona legge che pone l’accento sul noto equilibrio tra lavoro e vita privata.
In merito ai diritti dei lavori agili cosa dobbiamo sottolineare?
La L. n. 81/2017 garantisce innanzitutto il principio di non discriminazione, ovvero il lavoratore agile ha tutti i diritti al pari di quello che opera dall’ufficio e ciò sotto il profilo sia economico sia normativo. In altre parole, un lavoratore agile non può essere retribuito meno di uno che opera in regime “ordinario”. Anche se ci sono stati tentativi da parte di alcune aziende - in particolare all’estero (ricordiamo il caso Facebook, NdR) - di sostenere che lo smart worker avendo meno costi avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa, questo in Italia non risulta coerente con i dettami normativi posti proprio dalla Legge n. 81/2017.
Inoltre, la stessa legge ha auspicabilmente chiarito che l’infortunio occorso in regime di smart working è indennizzato come un vero e proprio infortunio sul lavoro. Ricordo inoltre che lo smart worker è tutelato anche in tema di limiti al controllo, non potendo essere “verificato” da sistemi automatizzati.
Durante il suo intervento allo Smart Working Day è entrato sul tema del “diritto alla disconnessione”. Vorrei ritornasse sulla questione dato che è un punto di grande interesse anche alla luce di quanto emerso nel Protocollo nazionale sottoscritto il 7 dicembre 2021.
Il diritto alla disconnessione è un tema caldo su cui si è intervenuto anche a livello europeo. Probabilmente se la nostra Legge n. 81/2017può essere migliorata in alcuni punti questo è uno di questi considerato che oggi “la disconnessione” è un tema affrontato più formalmente che sostanzialmente.
Come sappiamo bene, uno dei rischi dello smart working è quello di andare in “burn out” e il diritto alla disconnessione è volto ad evitare tale fenomeno. Sul tema è recentemente intervenuto il Protocollo sul lavoro agile sottoscritto il 7 dicembre 2021 tra il Governo e le parti sociali in cui è stato approfondito il tema dandone particolare importanza.
E cosa ne pensa di questo Protocollo del 7 dicembre 2021?
Su questo Protocollo mi sento di essere una voce fuori dal coro, in quanto rispetto ai toni entusiastici di cui ho letto, il mio giudizio è molto più prudente essendo il Protocollo, a mio avviso, da un lato ultroneo e dall’altro non condivisibile.
Ultroneo, poiché - fatte salve affermazioni di mero principio – mi sembra che il Protocollo non fa che ripetere in massima parte quanto già previsto dalla L. n. 81/2017 (necessità dell’accordo individuale, principio di non discriminazione etc.). Non condivisibile, in quanto il Protocollo fa rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta e, cioè, il ruolo della contrattazione collettiva in materia di smart working.
Mentre la L. n. 81/2017 aveva escluso qualsiasi necessario ruolo sindacale in materia di smart working, il Protocollo insiste per raggiungere delle intese sindacali, a vari livelli, volti a “disciplinarlo”. Personalmente, non credo che il ruolo di intese sindacali in ambito di smart working sia necessario o sempre opportuno, in quanto immagino lo smart working come uno strumento che non “mette” particolarmente in pericolo il dipendente (che anzi molto spesso ne auspica una più significativa diffusione).
Il Protocollo non fa che aggiungere un “anello” alla catena di definizione organizzativa che rende il tutto meno “smart”. Temo quindi che questo documento non incentivi ma limiti la diffusione dello strumento.
Su Smart Working magazine parliamo spesso di “future of work”, ma sempre in ottica culturale, change management, ecc… Ecco, vorrei chiederle, da un punto di vista giuridico qual è a suo avviso il future of work?
Quello che probabilmente accadrà da un punto di vista giuridico, sarà il superamento progressivo della classica tipizzazione del lavoro tra autonomo e subordinato. Al momento quasi tutte le tutele sono volte a tutelare il “dipendente”, mentre il lavoratore autonomo fondamentalmente è privo di diritti.
Credo che in futuro sarà necessario immaginare un lavoro “ibrido” che segua questa rivoluzione dei modelli dove le categorie dei lavoratori si avvicinano e sovrappongono.
C’è da rilevare che da venti anni a questa parte la New Economy ha però prodotto tanta precarizzazione, il legislatore non è stato un po’ lento nella risposta?
Quasi sempre una legge è emanata dopo che il “fenomeno” sociale che va a disciplinare si è diffuso. Vale per tutti gli ambiti, peraltro lo stesso Statuto dei Lavoratori è stato il frutto di una lunga stagione di battaglie e rivendicazioni sindacali che erano ormai “sentite” a livello sociale e culturale, ma non ancora a livello giuridico.
Il mondo della legislazione non riesce quindi ad essere tanto tempestivo da anticipare quello che accade nella “realtà” per di più in un’epoca dove i cambiamenti sono diventati velocissimi. Un “ritardo” è quindi accettabile finché è fisiologico, ma quando si arriva troppo tardi diventa un problema.
Lo smart working invece pare fare eccezione, nel senso che il legislatore è arrivato “quasi” in tempo reale.
Sì, stavolta è andata così. Infatti uno dei meriti della Legge 81/2017 è che è riuscita, in tempi ragionevoli, a cogliere un’esigenza imprenditoriale e dei lavoratori.