La “settimana corta” oggi è comunemente intesa come “lavorare quattro giorni”. Ad oggi diamo (ancora) per scontato che il lavoro sia quasi sempre organizzato su cinque, ma in realtà anche il “passaggio” da sei a cinque giorni è stato il frutto di confronti dialettici anche molto duri sul fronte sindacale. Come, all’epoca, sembrò impossibile che ci si riposasse sia il sabato sia la domenica, la stessa cosa sta accadendo adesso se facessimo riferimento ad un riposo “normale” anche di venerdì.
Ma l’occasione dello Smart Working Day 2023 a Roma, ha fornito un momento di confronto sul punto con l’avvocato giuslavorista Sergio Alberto Codella, partner di Orsingher Ortu Avvocati Associati.
Oggi vi sono già molti studi, pur con impostazioni assai diverse, che dopo una prima fase di sperimentazioni messe in atto da alcuni Paesi, sembrano confermare che gli indici di produttività siano effettivamente aumentati a fronte della riduzione di una giornata di lavoro a settimana.
<<Dalla Gran Bretagna emerge la scelta di evitare un pesante intervento normativo sul tema, ma di lasciare spazio all’autonomia imprenditoriale per verificare gli efficientamenti che si hanno con un’organizzazione su quattro giorni – esordisce Codella - mentre in Belgio vi è stato una più significativa “presenza” del Legislatore per incentivare la settimana corta pur mantenendo, grosso modo, il medesimo numero di ore di lavoro complessive settimanali. In Danimarca si sta arrivando a sole 33 ore di lavoro settimanali, mentre negli Emirati Arabi Uniti si sta provando ad implementare un sistema a 4 giorni e mezzo soprattutto per il pubblico e, in particolare, nel settore dell’istruzione, attività che si presta più facilmente ad una rimodulazione degli orari di lavoro. Sperimentazioni si segnalano pure in Spagna e addirittura in Giappone, notoriamente noto per il presenzialismo sul posto di lavoro>>.
Ma dal punto di vista degli HR, la settimana corta significa solo riduzione dell’orario di lavoro o pensare di strutturare su quattro giorni lo stesso numero di ore?
<<In Italia sono stati già implementati alcuni progetti, ad esempio un importante istituto bancario sta provando a distribuire – non per tutti ma per gran parte dei lavoratori – un orario su quattro giorni lavorativi. Ad una riduzione delle giornate di lavoro, non corrisponde però una altrettanto significativa riduzione del numero delle ore settimanali (riduzione che corrisponde all’incirca a solo un’ora e mezza). Quindi, non si impiegano più le classiche 8 ore al giorno di lavoro, bensì vi sarà una giornata lavorativa più lunga, ma la possibilità di lavorare un giorno di meno. Altre aziende invece sono proprio propense a tendere verso un impiego settimanale di 33/ 34 ore>>.
In ogni caso i sindacati dovranno essere coinvolti in maniera attiva per capire come procedere di fronte a questa sfida epocale. <<I sindacati, alcuni in particolare, stanno lanciato un nuovo progetto di riorganizzazione dell’orario che va a minare l’assunto, ormai forse superato, delle 40 ore settimanali. In linea di massima, possiamo dire che l’azienda che volesse adottare un orario su quattro giorni settimanali fissi avrebbe l’interesse a trovare un accordo con le Organizzazioni Sindacali sul punto. Sempre secondo alcune proposte sindacali, vi è anche l’ipotesi che il “quinto” giorno sia dedicato alla formazione, al coaching, alla digitalizzazione, ecc… Tale soluzione “intermedia” può, a mio avviso, offrire ottimi risultati e garantire un passaggio più morbido alla settimana corta>>.
Una strada evidentemente interessante, d’altra parte già oggi il venerdì è spesso il giorno dedicato allo smart working in molte aziende. Quindi potrebbe essere uno strumento integrativo al lavoro agile. <<Un modello integrato tra settimana corta e smart working sarebbe un’ottima soluzione. Gli studi confermano, ad esempio, una drastica riduzione dell’assenteismo e delle malattie brevi spesso coincidenti proprio con il venerdì>>.
Infine, per ultima, ma non l’ultima, la questione della retribuzione: lavorando meno tempo, saremo pagati di meno? <<Tendenzialmente oggi l’idea è lavorare meno ore a parità di retribuzione – conclude il giuslavorista - ma è ovvio che in sede di contrattazione collettiva è pensabile una riduzione dei salari, fermo restando un accordo con il sindacato sull’ammontare della paga oraria. Probabilmente si guadagnerà un po’ di meno, beneficiando però in qualità della vita per il maggior tempo libero. Diciamo che il principio sarebbe lavorare tutti, lavorare meno, lavorare meglio>>.