La volontà di attuare un ricambio generazionale nelle Pubblica Amministrazione (PA), anagrafico e culturale, pare cozzare con la scarsa concessione di lavoro in modalità agile per i suoi giovani talenti.
Il principio stesso della selezione, che tramite concorso ambisce ai candidati “migliori”, non si bilancia con l’attrattività che invece il privato può promettere. Ovvero, nonostante si vada ad arruolare questi “migliori”, gli stipendi non sono in linea con le responsabilità e i carichi di lavoro – soprattutto se si vive in certe costose città del Nord – e poi c’è appunto la questione dello smart working.
Sul nostro magazine abbiamo spesso parlato del lavoro agile quasi ipotizzando di rivolgersi a HR manager o in generale al settore privato, ma non dobbiamo dimenticarci che in Italia il più grande datore di lavoro è lo Stato! Lo smart working nella PA entra dalla porta centrale nei temi da trattare e con l’approssimarsi di una nuova stagione – forse avremo una nuova ondata pandemica, sicuramente un nuovo governo – non possiamo esimerci da entrare nel merito.
Marco Carlomagno, segretario del sindacato autonomo della pubblica amministrazione FLP – già ospite al nostro Smart working Day di Roma del 2021 – è il nostro osservatore di riferimento e recentemente a La Repubblica aveva dichiarato come nella PA lo smart working stesse regredendo, con un considerevole ritorno in presenza e la media del lavoro da remoto assestato a massimo due giorni a settimana. Insomma, il lavoro in modalità agile sembra si stia facendo rientrare lo smart working sotto forma di welfare o benefit, così da non dover affrontare la faccenda delle verifiche del lavoro per obiettivi.
Ho pensato fosse il momento di porgli delle ulteriori domande di approfondimento.
Marco, quale crede sia il più grande ostacolo all'orientamento della PA per obiettivi: l’abitudine a lavorare per procedure - quindi culturale - o la mancanza di incentivi al raggiungimento dei risultati?
Le nostre Pubbliche Amministrazioni, soprattutto a livello centrale, tranne alcuni esempi come l’Agenzia delle Entrate o l’INPS, non hanno in questi anni - nonostante i vari tentativi effettuati a livello normativo - improntato la loro azione alla politica degli obiettivi e del loro raggiungimento. Hanno adottato per lo più piani generici e standardizzati che poco hanno a che fare con una vera logica di pianificazione strategica, definizione degli obiettivi, individuazione degli strumenti per il loro raggiungimento e soddisfazione dell’utenza come compito istituzionale.
La verità è che non bastano leggi o circolari per cambiare il modo di organizzarsi e lavorare, specie in una situazione, come la nostra, che per più di un secolo è stata organizzata secondo una logica tutta basata sull’adempimento burocratico. Una struttura permeata dal mito della prevalenza del diritto amministrativo e delle sue articolate procedure, un corpo “senza testa” nel quale le procedure “pensano per tutte le funzioni”.
Le verifiche di cui parla - che immagino spettino al dirigente - mancano per l'assenza di strumenti di monitoraggio o per opposizioni interne varie?
L’attuale sistema, non essendo organizzato per obiettivi, mira a valutare il rispetto dell’adempimento burocratico e la “fedeltà” al dirigente di turno. Tale dirigente, spesso valorizza - in mancanza di indicatori oggettivi - gli yes man e non coloro che effettivamente sono produttivi.
Ritiene, infine, che la fatidica decisione del ministro Brunetta abbia scoraggiato inesorabilmente l’adozione del lavoro agile assestando un duro colpo allo smart working nella PA?
Sicuramente sì. L’approccio di Brunetta, al di là delle dichiarazioni dii facciata, è stato quello di limitare al massimo l'utilizzo dello smart working nelle PA. Prima abbassando dal 50 al 15% la percentuale minima di personale che può svolgere tale modalità lavorativa (dando un evidente segnale in tal senso) e poi, cosa molto più grave, introducendo l’obbligo di prevalenza del lavoro in presenza rispetto a quello agile per ogni singola prestazione lavorativa. Questo a prescindere dalla tipologia della stessa. In buona sostanza, anche se un’attività fosse totalmente effettuabile a distanza, bisogna garantire in presenza la prevalenza della prestazione lavorativa.
Inoltre nonostante il CCNL delle Funzioni centrali preveda il lavoro agile come materia contrattuale, il ministro ha continuato ad emanare circolari e direttive sempre più restrittive. Per i fragili poi l’eliminazione di ogni maggiore tutela, in una fase in cui il Covid non è per nulla debellato, è sintomatico della concezione arcaica di Brunetta che collega la produttività e l’efficienza alla mera timbratura del cartellino.
Cover photo: © Francesco Pierantoni via Flickr