Come le persone possono essere felici, motivate e produttive al lavoro in epoca di lavoro agile? Allo Smart working Day di Milano abbiamo parlato di “felicità al lavoro e benessere” in una tavola rotonda. Mi sono confrontato con Paola Baravalle, marketing & communication senior director di Erre Technologies Group, Loredana Andrello, HR Italy di GoStudent e Milena Atzori, head of HR business partner Sarlux/Sardeolica del Gruppo Saras S.p.A. partendo da dare una definizione su “cos’è la felicità al lavoro?”
<<Una solida strategia organizzativa>> ha esordito Paola: la felicità in contesti lavorativi mette al centro le persone rispetto all’azienda, per poi scoprire che c’è un aumento della produttività in ritorno. <<La felicità è una competenza da allenare>> ha proposto Loredana: come un muscolo, anche la felicità si può allenare in un ambiente organizzativo e questo favorisce le relazioni interpersonali. Significa essere parte di un progetto e condividere i valori dell’azienda. Con Milena invece abbiamo cercato di inquadrare il concetto di benessere al lavoro e anche in questo caso abbiamo provato a dargli una connotazione: <<un motore propulsivo da attivare>> è stata la metafora che ci ha proposto, la capacità di attivare un’attitudine positiva abbinata alla consapevolezza di quello che vogliamo.
Ma entriamo più nello specifico, dato che dall’altra parte c’è come attore un’organizzazione aziendale che è chiamata a sostenere l’equilibrio fisico, psicologico e sociale dei suoi collaboratori. La cultura aziendale e lo stile di leadership sono strumenti per il benessere, perché spesso parlare di “felicità al lavoro” è considerato un controsenso. Invece non è così perché ci sono delle “leve” che possono perseguirla e sicuramente il welfare aziendale è una di queste.
Dall’esperienza di Milena abbiamo capito che nel grande sito produttivo sardo della Saras (a tutt’oggi la più grande raffineria del Mediterraneo…) si è pensato che occorresse avvicinare i servizi alla persona, cioè fruibili in loco: da quelli sanitari ai sociali, da quelli sportivi ai fondi integrativi.
Chiaramente niente si improvvisa ma va pensato e strutturato per le persone, in particolare in quelle realtà dove si trovano più generazioni di lavoratori. La cosa che più mi ha colpito del ragionamento di Milena - in base alla sua esperienza - è che a suo avviso non ci può essere una totale separazione tra la vita privata e quella professionale, bensì una ricerca di equilibrio costante (e nel suo caso stiamo parlando di una realtà che nel 2020 con il lockdown ha messo in smart working 600 dipendenti nel giro di un weekend).
Un altro elemento importante emerso nelle nostre riflessioni allo Smart Working Day è quello della managerialità, inteso come il rapporto che hanno i manager con i temi attinenti alla persona e le difficoltà a tradurre in dati ed evidenze quello che è il tema del well being.
Per costruire un sistema che funzioni come ci siamo raccontati è importante accompagnare i capi nella formazione all’ascolto delle persone, dialogo e inclusione per l’appunto. Il linguaggio è fondamentale, ci siamo detti, per introdurre un certo tipo di argomenti. La felicità è difficile da comprendere proprio come parola.
Senz’altro l’approccio alla felicità e al benessere è diverso dal punto di vista intergenerazionale, i meno giovani la vedono come un’utopia, un piacere a cui tendere ma difficile da realizzare, i Millennials invece ci credono e vogliono partecipare attivamente alla creazione di ambienti felici perché lo ritengono un diritto.
In sostanza, il well being non è un miraggio ma un percorso. Siamo stati capaci di fare i primi passi, quindi possiamo pensare che andare avanti è possibile.