Apprendiamo che a Intesa San Paolo è stato appena raggiunto l’accordo con i sindacati per 1.264 lavoratori delle compagnie assicurative del gruppo: settimana corta di quattro giorni e 120 giornate di smart working. Come riporta Il Sole 24 Ore, il protocollo condiviso dalle parti prevede anche un adeguamento di alcune componenti economiche. Il settore bancario-assicurativo è quello che storicamente nel nostro Paese ha rappresentato l’avanguardia di modelli organizzativi e quello che sempre si è saputo adattare meglio in quanto a flessibilità. Eppure anche altri che sembrerebbero agli antipodi hanno fatto passi da gigante.
Il segretario dei metalmeccanici di Fim – Cisl Roberto Benaglia ha recentemente lanciato l’idea di sperimentazione la riduzione dell’orario di lavoro, scommettendo che non dovrebbe esserci diminuzione della produttività per le imprese. A suo avviso proprio nel settore della meccanica le trasformazioni tecnologiche e l’aumento delle competenze sono a un punto tale che una rivoluzione culturale sarebbe già possibile e magari estendibile ad altri settori, come ha dichiarato in un’intervista a Formiche.net la scorsa settimana.
La settimana lavorativa di 4 giorni è stata sperimentata con successo nelle aziende che hanno partecipato al progetto in USA, Gran Bretagna e Irlanda. A quanto pare dalle rilevazioni della ong no profit 4 Day Week Global, dopo sei mesi il 97% dei 495 dipendenti coinvolti e 27 delle 33 realtà partecipanti al programma ha dichiarato di prendere in considerazione di tornare alla vecchia routine di cinque giorni.
Cosa dicono i dati sul progetto che ha visto il supporto delle Università di Cambridge, Dublino e Boston College? La riduzione a quattro giorni lavorativi senza decurtazione di stipendio è stata accolta con entusiasmo e si sono registrati minori livelli di stress, insonnia e affaticamento nei lavoratori coinvolti. Per le aziende, benché non ci sia tecnicamente alcuna correlazione, tutte hanno registrato ricavi maggiori rispetto al 2021.
4 Day Week Global ha comunicato che per la maggior parte di loro la produttività è stata registrata come invariata, se non addirittura aumentata, tanto che questo rende seriamente il modello settimana corta perpetrabile anche alla fine del periodo di sperimentazione.
In Italia era il 10 Marzo 1923 quando il Consiglio dei Ministri approva finalmente il decreto legge relativo alla riduzione della giornata lavorativa a 8 ore, per la durata massima a 40 ore settimanali invece la conquista è arrivata in epoca più recente, nel 1966. In un articolo apparso su The Conversation, a firma David Spencer, “Four-day work week is a necessary part of human progress”, si ricorda come nel 1930 John Maynar Keynes – uno dei più grandi economisti di tutti i tempi – avesse profetizzato che entro il 2030 la settimana lavorativa sarebbe stata di sole 15 ore. Keynes riteneva che lo sviluppo avrebbe ridotto il tempo di lavoro senza fondamentali riforme al sistema capitalistico. Quasi cento anni dopo, la realtà è che nessuno dei paesi moderni si è ancora realmente avvicinato alle 30 ore, figuriamoci dimezzarle.
Tuttavia, sempre più test nell’ottica di riduzione di orario, hanno dimostrato nei vari Paesi target che “lavorare di più non significa meglio”. Quello che funziona per la produttività è il lavoro efficiente e collaborativo. L’Italia, il paese con la più bassa produttività europea necessita di una soluzione per scardinare vecchie concezioni dell’impiego, un miglior work-life balance e nuovi modelli organizzativi.
Le tradizioni sotto fatte per essere rotte, se Confindustria e sindacati trovassero una sintesi saremmo vicini a una svolta epocale.