Nel corso della Fase 2, lo Smart Working può essere un utile strumento “precauzionale” di tutela del contagio.
La Fase 2 è ormai nel vivo. Non sono mancati timori di alcuni lavoratori al rientro, proteste di altri perché di contro non potevano farlo e grande dibattito tra i manager d'azienda sull'ipotesi di dipendente che si contagia. Ma fin dove si può stabilire con certezza in quali circostanze una persona - non operatore sanitario - ha contratto il Covid-19?
Gli ultimi giorni sono stati segnati anche dai richiami di governatori di Regioni e sindaci per l'attenzione che deve restare massima. Il tutto condito da rimproveri ai propri cittadini per comportamenti da movida. La Fase 2 non significa "liberi tutti", perché un "contagio da ritorno" può avere a cascata impatto sanitario sul luogo di lavoro. Di contro, per chi può lavorare da casa, lo smart working resta un valido strumento precauzionale.
Decreto “Cura Italia” e infortunio sul lavoro
Riceviamo e pubblichiamo una interessante riflessione del nostro avvocato giuslavorista Sergio Alberto Codella, su uno dei temi più "caldi" dopo il rientro di molti dipendenti nelle sedi di lavoro:
"Le imprese che si apprestano a riprendere l’attività nella Fase 2 devono convivere con le difficoltà collegate a dovere minimizzare le possibilità di contagio con e tra i lavoratori.
Da un lato, l’art. 42 del Decreto “Cura Italia” ha chiarito come l’eventuale contagio del dipendente avvenuto in occasione di lavoro va trattato come “infortunio sul lavoro”. Ma, dall’altro, l’INAIL con comunicato del 15 maggio 2020 ha precisato che la responsabilità del datore di lavoro, in un caso del genere, può essere tanto civile (regresso INAIL per danno differenziale) quanto penale (omicidio e lesioni colpose).
Tuttavia la situazione non è affatto automatica.
Il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere solo se viene provato che ha violato i propri doveri in tema di salute e sicurezza sul lavoro. Quindi, tra gli altri, il rispetto di quanto previsto nel D.P.C.M. del 26 aprile 2020 in tema di protocollo sanitario e di quanto previsto dalle parti sociali in data 24 aprile 2020.
In quest’ottica, il lavoro agile va certamente promosso ogni volta che risulti compatibile con le mansioni del dipendente. Certamente è un modo per ridurre i potenziali contagi.
Peraltro, lo smart working non deve per forza essere integrale o integralista come è necessariamente accaduto in questi mesi. Può a questo punto essere attuato mediante un’alternanza tra presenza in azienda e lavoro in esterno”.
Testo di Avv. Sergio Alberto Codella