Negli ultimi anni è emersa una tendenza crescente tra i professionisti che scelgono di lasciare le loro impegnative carriere aziendali alla ricerca di un lavoro più soddisfacente e significativo, non raramente nell'ambito dell'artigianato e della piccola imprenditoria, seppur in cambio di condizioni economiche e status più modesti. Questo fenomeno è conosciuto come downshifting e sembra stia prendendo sempre più piede in Francia.
Antoine Dain, lavorando alla sua tesi di dottorato, ha intervistato cinquantacinque lavoratori che hanno deciso di intraprendere, in modo volontario, un lavoro generalmente percepito come più modesto del precedente.
La prima cosa ad emergere è l'importanza che queste persone danno alla soddisfazione che il lavoro in sé riesce a dare, piuttosto che il prestigio sociale o la remunerazione. Questo è tanto più vero quanto più robusta fosse la rete di protezione a loro disposizione, nella forma di assegni di disoccupazione, risparmi, proprietà o parenti disposti ad aiutarli. Avere titoli universitari o esperienze professionali è altrettanto importante poiché consentono di sperimentare nuovi percorsi professionali, anche atipici, con la consapevolezza di poter ripercorrere i propri passi se si dovessero pentire.
I lavori artigianali possono avere carattere prettamente manuale e non richiedere livelli di istruzione o specializzazione particolarmente alti. Ciò nonostante riescono in molti casi a dare soddisfazioni socio-professionali che altri lavori, apparentemente più intellettuali, non riescono ad offrire. Il tipico lavoro di ufficio sembra in molti casi non avere significato, costringendo a passare molte ore davanti ad un computer in modo sedentario, senza poter stare all'aria aperta e con un alto livello di divisione del lavoro che dà la sensazione di essere un semplice ingranaggio.
Il problema sembra quindi essere quello, per usare un concetto marxista, di lavori fortemente alienanti e reificanti, che trasformano cioè i lavoratori in oggetti inanimati. Il lavoro artigianale invece ha sempre una connotazione fisica, con ovvie ripercussioni sul benessere e la salute individuale. In secondo luogo il lavoro artigianale è concreto: l'attività lavorativa porta alla creazione di un oggetto tangibile, reale, la cui capacità di soddisfare un bisogno è senza dubbio più evidente rispetto ad un meeting o alla scrittura di una email.
C'è infine la dimensione dell'autonomia e del controllo sul processo produttivo, tipica di quelle attività non caratterizzate da un alto livello di divisione del lavoro.
C'è da chiedersi se il fenomeno del downshifting sia generalizzabile al di là dei pochi, e molto privilegiati, casi analizzati da Dain. Il fenomeno, del quale si è molto parlato, delle "grandi dimissioni" sembrerebbero dare qualche fumosa indicazione in merito. Se guardiamo ai dati scopriamo infatti che il tasso di disoccupazione non è diminuito, ma si è invece assistito ad un incremento dei lavoratori che cambiano impiego. Non sono però chiare né le motivazioni, né la direzione di questo cambiamento, se verso lavori più in alto o più in basso rispetto alla gerarchia sociale convenzionale.
Torna alla memoria il bel film The Company Man del 2010, dove il protagonista, interpretato da Ben Affleck, passava dall'essere un manager di successo con tanto di automobile di lusso a fare l'umile carpentiere per l'azienda del cognato. Le differenze sono però due: la prima è che nel film il processo non era volontario, ma la conseguenza diretta e traumatica della grande crisi del 2008 sull'economia americana, che causa non solo la perdita del lavoro ma lo costringe a restituire tutti i beni comprati a credito, dalla Porsche alla console per videogiochi del figlio. La seconda è che, nonostante fare il carpentiere finisca, dopo le prime difficoltà, per rivelarsi un lavoro appagante, il film finisca con un ritorno al ben più remunerativo lavoro manageriale.
Se questa volta il downshifting sia dettato da cambi strutturali di preferenze dei lavoratori o se si tratti di un periodo transitorio che porteranno tanti artigiani a rimettere la giacca e la cravatta non ci è dato, per adesso, saperlo. Resta la volontà delle persone di sentirsi più parte di un "processo" e forse le aziende dovrebbero prendere in considerazione l'investimento in una dimensione più "inclusiva" e di "responsabilità sociale" del loro percorso di valorizzazione delle risorse umane.