La casa non è più il luogo de la rêverie baudelariana e lo abbiamo scoperto in modo traumatico con l’isolamento imposto dalla crisi pandemica. Case che si sono improvvisamente rivelate quasi inabitabili, o quantomeno non corrispondenti alle nuove esigenze abitative dell’essere umano! Il quale, infatti, aveva scelto il luogo in cui vivere in base al concetto della “funzionalità”. Ovvero il più delle volte, la casa è stata considerata funzionale perché vicina ai supermercati, ai servizi, alle annesse fermate degli autobus... Soprattuto quasi sempre vicina al "posto di lavoro". Ma con lo smart working le abitazioni si fondono con il luogo di lavoro ed è per questo che sta nascendo una nuova tendenza: il coliving.
Cos’è il coliving
C’è subito da chiarire che il coliving non è la classica convivenza da coinquilini che condividono la stessa abitazione, spesso associata a quella forzata degli studenti in periodo universitaro. Si tratta bensì di una selezione di colivers in base anche ad un rapporto di lavoro. Ovvero, i conviventi sono professionisti che si occupano di tecnologia, politica e finanza, così come artisti e creativi e scelgono di coabitare in base ai profili che variano tra età, curriculum ed esperienza.
Chi sono i colivers
I profili dei colivers sono abbastanza variegati ma possiamo dire che riflettono una fascia d’età tra i 25 e i 35 anni. Oggi, probabilmente frutto della crisi pandemica, è una tendenza che ha influenzato anche gli over 40. I primi, però, sono i cosiddetti Millenials ai quali tra le tante etichette affiliate c’è anche la “Generazione Affitto” dato che sono più predisposti a vivere una vita quasi perennemente da affittuari, piuttosto che proprietari. I motivi sono soprattutto il precariato e un’attitudine trasversale del lavoro che implica a doversi affacciarsi sempre a nuove realtà e, in questo caso, identità. Samuel Doualle, cofondatore e direttore operativo di coliving.com, piattaforma che consente di trovare spazi di coliving in tutto il mondo, spiega anche che “Il tipico co-liver è ambizioso e dedito al lavoro e gestisce diversi progetti al tempo stesso. Opta per il co-living sia come opzione di alloggio sia come stile di vita, per focalizzare il proprio tempo su imprese creative mentre beneficia della compagnia di persone affini. E una buona percentuale di individui lo associa a un “nuovo inizio”.
Coliving e Coliving 2.0: quali sono le differenze
L’attitudine generale del coliver di essere un “ambizioso e dedito al lavoro” porta questi spazi ad essere luoghi di coworking con persone che generalmente non hanno necessità di recarsi nel luogo di lavoro. Il coliving è in un certo senso un’evoluzione del co-working: a livello concettuale, il passo dalla condivisione degli ambienti lavorativi a quella della casa. In passato le abitazioni offrivano spazi detti “micro-living”, il vecchio “coliving”, ben diverso da quello che sta nascendo oggi: il micro-living rappresenta una serie di micro-spazi di coworking e coliving integrati.
Vediamo meglio le differenze. Spazi estremamente ridotti non potevano essere del tutto funzionali alla sempre più continua richiesta di smart working che ha ampliato la platea di lavoratori da casa in luoghi condivisi poco adeguati. Sia in termini di spazi che in sostenibilità tecnologica. Il coliving attuale, quello 2.0, si indirizza già ad un target diverso con colivers generalmente over 40, benestanti, con ville, spazi più ampi e l’utilizzo di ausili tecnologici che consentono di poter vivere meglio tra più persone. Soprattutto gli smart workers! Interessanti in questo senso le proposte di coliving dell'Hotel ST Signature a Singapore, con tutte le tecnologie futuriste del caso, o il gioiello di design con bistrot annesso 21 Way Of Living a Milano.
Spazi più ampi, design raffinato, luoghi coworking con un livello tecnologico elevato, fanno sì che molti colivers, che tendenzialmente scelgono di vivere in questi habitat come esperienza e, alla fine, li scelgano per la vita. Voi lo fareste?
Foto: esempio di camera al 21WOL.