La Francia tornerà allo smart working obbligatorio per almeno 3 giorni a settimana. A Natale i cugini transalpini hanno sfondato il record dei 100mila contagi giornalieri a causa della variante Omicron, la pandemia picchia duro in un paese che da settimane è già in campagna elettorale. Dopo che per settimane i media si erano concentrati sul primo turno delle elezioni presidenziali di domenica 10 aprile 2022 (l’eventuale ballottaggio tra i due più votati nel caso in cui nessun candidato dovesse la maggioranza assoluta, si terrà il 24 aprile), ecco che il terribile virus sta togliendo spazio agli slogan dei politici.
Emmanuel Macron, a caccia del secondo mandato, deve difendere l'Eliseo dagli assalti di due concorrenti agguerriti a destra, i sovranisti - populisti Eric Zammour e Marine Le Pen, il ritorno in auge dei repubblicani che hanno scelto Valérie Pécresse come candidato e la sindaca di Parigi Anne Hidalgo per i socialisti. Ma è il SarsCoV2 il primo pensiero al momento e dal 15 gennaio le misure di contenimento saranno ancora più stringenti: entra in vigore il Super Green Pass sulla scia dell'esempio italiano.
Quello che invece interessa in particolare a noi è il provvedimento dello smart working obbligatorio per almeno 3 giorni alla settimana. Il primo ministro Jean Castex rispolvera il provvedimento, perché era stato già previsto a fine del 2020 per il 2021. Allora si parlava di almeno 2 giorni, stavolta la dose di lavoro agile è booster, tanto per rimanere in tema! La decisione, che ovviamente riguarda tutte le persone che hanno la possibilità di lavorare da casa, stride se pensiamo a quello che è successo in Italia dal 15 ottobre, con il repentino ritorno in ufficio. In particolare quello voluto dal Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta.
Una scelta forse oggi da biasimare due volte, perché non è stata fatta marcia indietro neppure quando i contagi sono aumentati esponenzialmente tra fine novembre e inizio dicembre. Evidentemente il ministro Brunetta si è sentito forte del risultato raggiunto con i sindacati – l’atteso accordo per regolare il lavoro da remoto che introduce la flessibilità – evitando il ricorso alla soluzione d’emergenza come era capitato nel 2020. Peccato, perché la ricerca Istat del 15 dicembre ha evidenziato come l’80% dei lavoratori della pubblica amministrazione italiana abbiano risposto di avere tratto beneficio dal telelavoro in termini di qualità della vita nel 2021 (dopo il traumatico primo esperimento durante il lockdown).
Magari, anche per logiche politiche, si è puntato repentinamente a un “ritorno alla normalità” da cui non è sfuggito neppure l'accorto premier Draghi. Questo si è tradotto in centinaia di migliaia di persone negli uffici e sui mezzi di trasporto pubblico. I dati di Google sulla mobilità sono lì a dimostrarlo. Tra l’altro, con la storiella che la situazione pandemica da noi era migliore che negli altri paesi, l’Italia oggi è all’ultimo posto nell’Unione Europea per ricorso al remote working.
Nel nostro paese, nonostante i risultati dell’uso disciplinato della mascherina e il miglioramento degli strumenti per lo smart working, è stato fatto troppo affidamento sui successi della campagna vaccinale. Adesso sembra che stiamo pagando quella scelta perché, pur avendo la metà dei contagiati della Francia, la tendenza è in aumento.
Sempre oggi arriva la notizia del presidente di Confindustria Carlo Bonomi che chiede al governo l'obbligo vaccinale per tutti i lavoratori. Comunque la si pensi in merito alle proposte dei piani alti di Viale dell'Astronomia, la stalla sembra chiudersi quando i buoi sono già scappati: gli italiani sono tornati sul posto di lavoro ben prima dei loro colleghi europei e americani.
Prima di fare interventi a gamba tesa, non era meglio lasciare i dipendenti in smart working?