Il primo editoriale del 2022 è giocoforza dedicato alla polemica del giorno, che poi è la stessa di fine 2021: la retromarcia sullo smart working. Variante Omicron o Delta che sia, il nuovo anno è iniziato con oltre 1 milione di italiani complessivamente registrati come positivi attivi dalle aziende sanitarie locali. Quindi, in quarantena loro e tutti i “contatti stretti”.
Ieri abbiamo festeggiato la Befana sfiorando i 200mila nuovi contagi giornalieri e il picco – dicono gli esperti – non è ancora arrivato, dobbiamo ancora scontare tutti gli infetti tra cene di Natale e Capodanno. Nel mio ultimo articolo dello scorso anno, facevo notare che l’Italia è attualmente all’ultimo posto nell’Unione Europea per ricorso al remote working. Voglio essere più chiaro: si prepara la tempesta perfetta e gli indizi li troverete alla fine di questo articolo.
La questione 1: il ministro Brunetta.
La Pubblica Amministrazione, con i suoi 3 milioni 200 mila dipendenti deve fare la sua parte, poiché va a sommarsi ad uno scenario di piccole-medie imprese dove resiste un’opposizione ideologia al lavoro agile. Più facile nelle grandi aziende. Come confermato anche da Confindustria, oltre che dal Politecnico di Milano, qui sì è ormai da un anno impostati in una modalità strutturata ibrida presenza/ remoto.
A Roma invece, il Ministero, sullo smart working fa il furbo: “le amministrazioni pubbliche possono decidere la rotazione del personale consentendo il lavoro agile anche fino al 49%, sulla base di una programmazione mensile”. Dove sta l’inghippo? Se teoricamente la linea enunciata non fa una piega, nella pratica l’input deve arrivare proprio da Renato Brunetta, magari con una bella circolare data la situazione di emergenza. Altrimenti stiamo assistendo ad una pericolosa retromarcia sullo smart working. Da una ricerca su Il Fatto Quotidiano a firma Luigi Franco, viene fuori che in modalità remoto si passa dal massimo del 40% in Regione Lombardia al minimo dei dipendenti “categoria fragili” del Comune di Palermo.
La richiesta di promuovere nella maggior misura possibile lo smart working viene pure dal Comitato Tecnico Scientifico, non (solo) dall’ex-ministra della funzione pubblica Fabiana Dadone o noi di Smart Working Magazine. Marco Carlomagno, segretario generale Federazione Lavoratori Pubblici, ha dichiarato in merito a quel 49% di tempo (previo accordo individuale) di lavoro da casa che si tratta di “un limite che sinora è stato perlopiù interpretato su base settimanale, in virtù delle stesse linee guida del ministero: quindi massimo due giorni su cinque in lavoro agile”.
La questione 2: il governo al capolinea?
Diciamolo onestamente, anche senza essere osservatori politici: tra discussioni sull’obbligo vaccinale e scontri interni, il governo Draghi è arrivato alla fine del suo percorso. L’ultimo Consiglio dei ministri ha segnato una svolta nella vita del governo. I contrasti all’interno della maggioranza hanno raggiunto un livello mai toccato prima, tale da far pensare che l’esecutivo abbia esaurito la sua forza propulsiva.
Il risultato è che nonostante la situazione di grave pandemia che stiamo vivendo sono prevalsi gli interessi di bottega politica sulla scienza. Quella scienza che chiede – appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - di diffondere lo smart working. I governi possono imporre il lavoro da remoto alle pubbliche amministrazioni e alle imprese private, il telelavoro ha evitato milioni di contagi, ma in Italia lo abbiamo abbandonato prima del tempo.
Il ministro Brunetta lo possiamo biasimare per le sue posizioni rigide, ma è anche tutta la classe politica che, concentrata solo sul particolare dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, sta perdendo di vista il quadro d’insieme.
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