Sono ormai trascorsi oltre tre anni dall’avvio dell’emergenza pandemica. Anni di norme e decreti legislativi che hanno regolamentato e a più riprese aggiornato le modalità di accesso al lavoro agile, in un percorso che non è ancora giunto alla sua naturale destinazione.
L’ultima normativa contenuta nella legge 14/2023 (conversione del decreto Milleproroghe) ha prolungato sino al prossimo 30 giorno la possibilità di accesso allo smart working per le lavoratrici e i lavoratori fragili (ossia affette dalle patologie espressamente individuate dal relativo decreto del Ministero della Salute del 4 febbraio 2022). In questi casi, a prescindere dalla compatibilità della mansione con il lavoro da remoto, sussiste il diritto a lavorare in smart working: il datore è tenuto ad assicurare tale modalità di lavoro, eventualmente anche assegnando il lavoratore ad una mansione differente rispetto all’abituale (purché appartenente alla stessa area di inquadramento).
Infine, il lavoratore ha diritto ad esigere lo svolgimento integrale della prestazione lavorativa da remoto, trattandosi di un diritto azionabile su base individuale e appurato che la legge non specifica limiti temporali circa la durata del lavoro agile nel corso della settimana o del mese
Altro punto chiave: la medesima normativa ha ripristinato fino al prossimo 30 giugno il diritto di accesso al lavoro agile per i genitori di figli under 14 e per i lavoratori con specifiche problematiche di salute (come certificate dal medico competente). In questi casi, la possibilità di accesso allo smart working è subordinata all’assenza, nel medesimo nucleo familiare, di un altro genitore non lavoratore; se presente, quest’ultimo non deve beneficiare di alcuno strumento di sostegno al reddito, per cessazione o sospensione dell’attività lavorativa.
Inoltre, il lavoratore può accedere alla modalità di lavoro agile solo qualora essa sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa: non siamo più di fronte ad un diritto incondizionato, bensì il datore di lavoro è chiamato ad esprimere il suo consenso, il quale deve essere il frutto di una valutazione di compatibilità delle mansioni del dipendente con il lavoro agile.
Peraltro, non sussistendo una condizione di “rischio per la salute” del lavoratore, è comprensibile che il datore di lavoro possa ritenere sostenibile, a seconda dei casi, un utilizzo solo parziale dello smart working: il suo eventuale confinamento ad alcuni giorni della settimana o del mese dovrà inevitabilmente tener conto anche delle policy aziendali già in essere in materia di lavoro agile.
Tutte queste considerazioni e valutazioni valgono tanto per i genitori di under 14 quanto per i cosiddetti “lavoratori a rischio”, soggetti che non rientrano nell’elenco dei lavoratori fragili (come da D.M. del 4 febbraio 2022), ma che per ragioni di età, comorbidità oncologiche, terapie immunomodulanti o immunodepressive… Sono ritenuti a maggior rischio di contagio da Covid-19, sulla scorta delle valutazioni dei medici competenti.
Anche per tali lavoratrici e lavoratori, il datore di lavoro può prevedere un’imprescindibile parziale attività lavorativa in presenza, limitando quindi l’accesso al lavoro agile alle sole mansioni valutate come compatibili con il lavoro da remoto, con conseguente limitazione anche del monte ore di smart working nell’arco della settimana/mese.
Va purtroppo segnalato che il legislatore, nel corso delle numerose proroghe della normativa in materia, ha lasciato evidente spazio a differenti interpretazioni, in particolare in materia di attuazione del diritto allo smart working per i genitori di under 14 e lavoratori con problemi di salute.
Tale incompleta chiarezza legislativa testimonia un percorso legislativo e culturale ancora in fieri, in cui lo smart working, ormai uscito dalla fase emergenziale, fatica a separarsene completamente, trattenuto da timori e preoccupazioni che provengono da più parti, ma che paiono ormai francamente anacronistiche.