L’allarme è arrivato da un’istituzione autorevole, la Banca d’Italia, commentando il Global Gender Gap, ranking stilato dal World Economic Forum: “la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro limita le prospettive di crescita economica dell'Italia”.
Le questioni che fanno perdere posizione al nostro Paese - relegandolo al 79° posto, addirittura peggiorando il ranking di quattordici posizioni rispetto all’ultima rilevazione - sono note:
1. La partecipazione al mondo del lavoro: il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro nel 2012 era pari al 53,2 per cento, 20 punti inferiore rispetto a quello maschile. Oggi il tasso di attività femminile è aumentato di 3,3 punti, il doppio di quello degli uomini, e nel primo trimestre del 2023 ha raggiunto il livello più alto dall'inizio delle serie storiche, il 57,3 per cento. Ma il livello è basso se paragonato alle altre maggiori economie d’Europa.
2. Occupazione nel Meridione: nelle regioni del Sud Italia il divario uomo-donna è pari a oltre 25 punti percentuali.
3. Le retribuzioni: donne e lavoro sembra un binomio che non funziona in Italia. Il gap con gli uomini in termini di salari è evidente, sono più bassi, appunto per le donne, mediamente del 10%;
4. La maternità: la probabilità per le donne italiane di perdere il lavoro nei due anni successivi alla maternità è doppia rispetto alle donne senza figli. Questa percentuale, benché si attenui nel tempo, è rintracciabile addirittura fino a 15 anni dalla nascita del primogenito.
Per la Banca d’Italia in generale la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro limita le prospettive di crescita economica generale dell’Italia, che non ha così colto il target di Agenda Europa 2020 (la strategia dell’Unione Europea formulata nel 2017 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva):
<<[...] le analisi sui paesi avanzati mostrano che a una più alta partecipazione femminile si associa un reddito pro capite significativamente più elevato: ciò non dipende solo dal fatto che una data espansione dell'offerta di lavoro porta nel lungo periodo a un aumento del prodotto; la letteratura economica mostra anche che una migliore allocazione dei talenti di uomini e donne sostiene la crescita della produttività a livello aggregato>>.
A conti fatti, nonostante il progresso complessivo del 2023 dovuto alla riduzione del divario nel livello di istruzione e dal ritorno alla normalità post-pandemia, la situazione generale resta critica. Il posizionamento dell’Italia a metà di una classifica che prende in considerazioni 146 economie è una vergogna. Il nostro Paese non è lontano solo dalla top Islanda, che ha un indice di 0,912 su 1, dai soliti scandinavi - Finlandia, Norvegia e Svezia sul podio europeo - dalla Nuova Zelanda o la Germania, è pure lontana dalla Namibia o il Nicaragua.
Al momento siamo messi poco meglio di Mongolia e Repubblica Dominicana che fanno peggio con un indice di 0,704 rispetto al nostro 0,705. In attesa della prossima classifica, ovviamente...